Se tratti ti porto in tribunale. Questo è talvolta il punto cui si può arrivare nei rapporti fra agricoltori Bio e colleghi “convenzionali”. A conferma, la recente notizia della condanna di un viticoltore pistoiese al risarcimento dei danni causati a un vicino Bio, dal momento che il primo sarebbe stato giudicato responsabile del reperimento di cymoxanil sulle vigne del secondo (e pare addirittura sull’abitazione). Come si suol dire in questi casi, però, le sentenze vanno rispettate e non commentate.
 
Alla notizia di cui sopra è stata data forte enfasi dal Mondo “eco”, da sempre convinto che chi decide per il Bio abbia poi il diritto di imporre ai vicini pesanti limiti nella libertà d’azione contro parassiti e patologie.
A prescindere però dal principio di base, ovvero se sia il viticoltore convenzionale a doversi astenere dal trattare gli ultimi filari, oppure se sia il vicino Bio a dover tenere a proprie spese un’area di protezione, un fatto resta certo: chi crea problemi deve pagare.
Sempre ammesso che ciò venga appurato in modo sostanziale, ovviamente, perché mica risultano al di sopra di ogni sospetto certi coltivatori Bio che una volta beccati con dei residui anomali gettano la croce sugli atomizzatori dei vicini. Tanto le molecole mica hanno impronte digitali e stabilire chi le ha spruzzate davvero è cosa impossibile. Come si ebbe a dire già in passato, infatti, “la colpa morì fanciulla perché nessuno la volle”.
 

Tolleranze zero? Si, ma per tutti

 
Piaccia o meno, l'auspicata “tolleranza zero” sarebbe davvero l'ora di applicarla, ma non solo ai casi accertati di deriva, bensì anche ad altre forme di danneggiamento dei vigneti altrui.
 
Nel recente convegno tenutosi a Calosso in materia di Flavescenza dorata e Scafoideo, infatti, non vi è stato un relatore, dal Piemonte al Friuli, dall’Emilia alla Svizzera passando per la Val d’Adige, che non abbia duramente stigmatizzato il biologico, causa secondo i tecnici del continuo reinoculo dell’insetto vettore. E non erano mica venditori delle multinazionali a parlare, bensì professori universitari, referenti di osservatori delle malattie delle piante, responsabili di consorzi di difesa e di strutture di consulenza tecnica sul territorio.
Per ognuno di questi, i vigneti biologici sono una vera e propria spina nel fianco, un problema da affrontare.
 
Al di là dei personaggi un po’ naif che proprio si rifiutano di trattare, andando peraltro incontro a sanzioni ridicole, vi è un’infinità di situazioni ove i trattamenti non è chiaro se siano stati effettuati e se si con quale esito.
Un trattamento a base di piretro ha infatti un costo dal triplo al quadruplo di quelli con buprofezin o thiametoxam. In più ne andrebbero effettuati almeno tre contro l’uno, massimo due, dei due prodotti citati. Quindi l’agricoltore bio dovrebbe spendere circa 4-5 volte tanto il collega integrato. E mica tutti ne hanno voglia. In più, il piretro va applicato la sera, magari acidificando l’acqua, altrimenti la percentuale di controllo su Scafoideo precipita a poche decine di punti percentuali. Altra rottura di scatole che disincentiva il trattamento. Per non parlare della tossicità del piretro su api e fitoseidi: un aspetto su cui molti “biofili” non meditano mai abbastanza prima di perorare cause inconsistenti proprio dal punto di vista della sostenibilità ambientale.
 
Viene quindi da chiedersi, a questo punto, se l’attuale approccio al Mondo Bio sia equo oppure no.
Se infatti un viticoltore Bio può portare in tribunale un vicino perché ha difeso le proprie vigne, perché mai non dovrebbe quest’ultimo portare in tribunale il primo in caso gli avesse impestato i filari con migliaia di vettori di una malattia che non lascia scampo? Al di là delle sacrosante (e mai abbastanza salate) sanzioni amministrative per chi violi il Decreto di Lotta Obbligatoria, non sarebbe quindi ora che certi personaggi un po’ “natùre” fossero chiamati a pagare in solido anche i costi aggiuntivi che i vicini si sobbarcano per ammazzare gli insetti di cui si sarebbero dovuti occupare loro? E magari, si potrebbe anche valutare il concorso economico nello spianto e nel reimpianto di quelle viti ormai seccate dalla patologia. Perché se concorro a far ammalare le piante del vicino, dovrei anche concorrere alle relative spese di rinnovo.
 
E un ultimo commento va infine lasciato a tutti coloro i quali, con petizioni e referendum, chiedono a gran voce la conversione a biologico dell’intera viticoltura nazionale.
Finché si parla di usare rame e zolfo al posto di sistemici e triazoli, passi: ognuno è libero di decidere del proprio vigneto e del proprio portafoglio (magari evitando di affermare di usare i primi, salvo poi usare di notte i secondi). Ma con la Flavescenza non si scherza e il biologico su questa vera e propria peste bubbonica ha dimostrato nei fatti di non essere all’altezza. Anzi, a Calosso ha confermato di rappresentare un serio problema anche per chi di quella peste bubbonica non ne voglia giustamente sapere.
 
Sarà quindi sempre tardi quando si vedrà tornare coi piedi per terra i “convertiti sulla via di Damasco”. Come pure sarà sempre tardi quando in tribunale si vedranno condannare anche coloro che impestano mezzo paese con un pericoloso vettore come lo Scafoideo. Persone, queste si, sempre pronte a strillare per qualche molecola che per deriva gli avrebbe “contaminato” un paio di filari. Sempre che, come si diceva poco sopra, quelle molecole ci siano finite davvero per deriva sui loro filari. Perché a onor del vero nascono sempre sottili sospetti quando i filari del contendere siano molti più che un paio…