Nessuno si rende conto di essere nel bel mezzo di una rivoluzione, almeno fino a quando non è finita. È probabilmente quello che sta accadendo con la fermentazione di precisione, una tecnologia in grado di produrre praticamente qualunque tipo di molecola sfruttando il lavoro dei microrganismi. Una tecnologia che ha permesso ad alcune aziende, come Perfect Day, di produrre un latte non di origine animale, ma contenente le principali componenti del latte vaccino. Insomma, un latte senza vacche. Ma non un surrogato, quanto un prodotto assimilabile per caratteristiche qualitative e tecnologiche a quello animale.

 

Grazie a questa tecnologia il latte non viene più prodotto dalle vacche nelle stalle, ma dai lieviti in grandi fermentatori, come quelli dove oggi si producono il vino o la birra. I microrganismi metabolizzano carboidrati di origine vegetale e producono le componenti del latte (come la caseina, la lattoglobulina, il lattosio, eccetera).

 

Si tratta di una tecnologia tutt'altro che futuristica, che sta dando già i primi prodotti commerciali e che ha le carte in regola per rivoluzionare il settore lattiero caseario a livello globale. La Nuova Zelanda, che ha nell'allevamento uno dei pilastri della propria economia nazionale, ha iniziato a riflettere su come affrontare questa sfida. Un momento di riflessione che è bene che riguardi anche l'Italia, per evitare di arrivare impreparati all'appuntamento con l'innovazione.

Leggi anche Allevamento e emissioni, una tassa per gli allevatori?

Che cos'è la fermentazione di precisione?

La fermentazione di precisione è una tecnologia che consente di "programmare" microrganismi, come lieviti o batteri, affinché producano specifiche molecole. A differenza delle fermentazioni tradizionali, che generano prodotti complessi, come vino o yogurt, la fermentazione di precisione è mirata alla produzione di singole componenti: il prodotto finale non è l'intero microrganismo, ma una singola molecola purificata, come una proteina o un grasso.

 

Il processo avviene in bioreattori, dove i microrganismi vengono nutriti con zuccheri o altre fonti di energia e messi nelle condizioni ideali per produrre la molecola desiderata. Nel caso del latte è possibile ottenere proteine identiche a quelle vaccine che vengono poi utilizzate per produrre latte, formaggi, yogurt o gelati senza alcun coinvolgimento di animali.

 

L'impatto economico: il caso del Southland

Southland, regione meridionale della Nuova Zelanda, rappresenta un esempio del possibile impatto che la fermentazione di precisione può avere. Con oltre 500mila vacche da latte e circa 220mila ettari dedicati alla zootecnia, qui il 20% dei posti di lavoro dipende direttamente dal settore lattiero caseario. A livello nazionale, il latte rappresenta il 35% delle esportazioni di beni e coinvolge oltre 50mila lavoratori.

 

Uno studio ha stimato che una riduzione del 7% dell'export di latte in polvere (pari a 574 milioni di dollari neozelandesi) sarebbe equivalente alla perdita dell'intero settore dell'acquacoltura. Alcuni scenari modellati arrivano a ipotizzare un impatto del 20% o più. A soffrirne sarebbero in particolare le aziende più indebitate, che rischiano di vedere crollare i margini già oggi sotto pressione.

 

Chi guida l'innovazione nella fermentazione di precisione?

Il settore è in piena espansione e sono molte le startup che lavorano per sostituire il latte vaccino con quello da fermentazione. Perfect Day, negli Stati Uniti, ha già sviluppato prodotti in collaborazione con Nestlé e Starbucks. Remilk (Israele) punta a sostituire 50mila vacche in un solo impianto, mentre Daisy Lab (Nuova Zelanda) lavora a proteine lattiero casearie per il mercato B2B. Infine, l'australiana Nourish Ingredients sta creando grassi non di origine animale, capaci di replicare le proprietà organolettiche del latte.

 

Nel mondo operano più di centotrenta aziende attive nel settore, tra cui New Culture (Usa), Geltor (Usa), Formo (Germania), ImaginDairy (Israele) e Those Vegan Cowboys (Belgio). Gli investimenti pubblici si moltiplicano: Singapore ha già allocato oltre 220 milioni di dollari e anche diversi Stati Ue e gli Emirati Arabi stanno puntando sulla tecnologia.

 

Pro e contro rispetto alla zootecnia tradizionale

Secondo Jeremy Hill, chief Science Officer di Fonterra (gigante cooperativo neozelandese nel settore latte), la fermentazione di precisione è promettente ma presenta sfide non di poco conto. Prima di tutto i costi di produzione, ancora superiori a quelli della zootecnia tradizionale. Ci sono poi difficoltà nel processo di purificazione, nella separazione cioè delle proteine dal resto del brodo di fermentazione.

 

A questo si deve aggiungere l'accettazione sociale, visto che molti consumatori non vogliono sentir parlare di latte "sintetico" o da fermentazione, mentre sul fronte della sicurezza alimentare sembra non ci siano incertezze, visto che il prodotto è quasi identico all'originale e a cambiare è solo il metodo di produzione.

 

Dal canto suo, la fermentazione di precisione offre una minore impronta ambientale, visto che i batteri sono molto più efficienti delle vacche nel trasformare zuccheri semplici in molecole complesse. Tuttavia, uno studio congiunto condotto da Fonterra e dal Centro di Ricerca VTT in Finlandia ha mostrato che, se si usano metodologie di calcolo ambientale rigorose, l'impatto carbonico ed idrico della fermentazione di precisione non è sempre inferiore rispetto a quello del latte tradizionale.

 

D'altro canto, questa tecnologia elimina molte problematiche tipiche dell'allevamento intensivo, come le criticità legate al benessere animale, le emissioni di metano in atmosfera, l'uso del suolo e l'inquinamento delle falde da nitrati, nonché il rischio sanitario.

 

Chi colpirà questa rivoluzione?

Il latte in polvere, le proteine isolate e gli altri ingredienti sono l'anello più debole della catena. Sono standardizzati, facili da sostituire e costituiscono il grosso delle esportazioni di alcuni Paesi, come la Nuova Zelanda. Si tratta di componenti perfette per essere replicate nei bioreattori.

 

Non bisogna poi dimenticare che per i giganti dell'agroindustria, come ad esempio Nestlé, l'acquisto di prodotti bio-based o da fermentazione di precisione consente di ridurre l'impronta carbonica e le emissioni Scope 3, ponendosi sul mercato come aziende maggiormente green. Gli ingredienti, come il latte in polvere e le proteine, sono dunque i prodotti che risentiranno maggiormente dello sviluppo di filiere produttive basate sulla fermentazione di precisione.

 

Fonterra, che gestisce circa il 30% del commercio internazionale di latte, ha cercato di correre ai ripari adottando un approccio proattivo: ha investito insieme a DSM nella startup Vivici, nei Paesi Bassi, e ha avviato collaborazioni con centri di ricerca internazionali. Inoltre, ha annunciato la volontà di vendere alcuni marchi consumer per concentrarsi sulla fornitura di ingredienti ad alto valore aggiunto.

 

Secondo Paul Melville, Policy manager di Federated Farmers, è improbabile che la Nuova Zelanda diventi leader nella fermentazione di precisione a causa della scarsità di feedstock zuccherini (come il mais) e del mercato interno ridotto. Tuttavia, riconosce la necessità di fornire agli agricoltori strumenti per adattarsi. "Non possiamo sapere cosa accadrà nel 2050. Dobbiamo mettere gli agricoltori nella condizione di essere flessibili".

 

E l'Italia? Tralasciando l'aspetto normativo, che attualmente vieta la commercializzazione di prodotti da agricoltura cellulare, la situazione del nostro Paese non è paragonabile a quella neozelandese. Le nostre stalle hanno costi di produzione superiori rispetto ad altri Paesi Ue e questo ha spinto il settore lattiero caseario ad investire nella trasformazione del latte in prodotti ad alto valore aggiunto, come i formaggi, con alcune denominazioni che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli.

 

Benché il nostro Paese produca anche commodities, come il latte in polvere, il peso di questi prodotti è certamente minoritario rispetto ad altre economie e dunque l'impatto della fermentazione di precisione, almeno nel breve periodo, dovrebbe essere contenuto. Ma questo non deve giustificare una politica attendista, serve che il tessuto produttivo si prepari a questa rivoluzione e sarebbe auspicabile che anche in Italia nascano dei player in grado di competere sul mercato, come sta accadendo in altri Paesi Ue, dalla Francia alla Germania.

Questo articolo fa parte delle collezioni: