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Voci dal fango
"È stato brutto brutto, è andata a male tanta roba" dice Fernanda Gaudenzi, con negli occhi il ricordo ancora vivido di quei giorni di paura. Sono le 6:15 del mattino del 17 maggio 2023 e il Senio ha già rotto l'argine a Castel Bolognese, a 8 chilometri di distanza: l'acqua ora sta arrivando.
"Io stavo su in casa mentre loro andavano ad aiutare e sistemavano il salvabile". Loro sono i nipoti di Fernanda: Danilo e Stefano Pini, giovani agricoltori nell'azienda di famiglia.
L'Azienda Agricola Pini si estende su oltre 50 ettari, coltivati a orticole e a frutteti. Ci troviamo in mezzo alle campagne della Pianura Padana, a Solarolo, in provincia di Ravenna.
Un paese piccolo, tranquillo, conosciuto finora soprattutto per aver dato i natali alla star del pop italiano più conosciuta all'estero: Laura Pausini. Ma nell'ultimo anno è diventato, purtroppo, anche protagonista delle alluvioni che hanno stravolto la Romagna nel maggio del 2023. Un doppio evento: il primo del 3-4 maggio già sembrava gravissimo, poi il 16 il disastro.
Guarda il video: le storie degli agricoltori
Nei primi 17 giorni di maggio piogge per 4 miliardi di metricubi di acqua si sono riversate su un territorio di 1.600 chilometri quadrati: a dirlo i report elaborati dalla Regione Emilia Romagna e Arpae, l'Agenzia Regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia.
Tra il 16 e 17 maggio 2023, 36 ore di piogge incessanti sui territori della bassa Romagna hanno provocato l'esondazione di 23 corsi d'acqua e il superamento dei livelli d'allarme di altri 13. Un evento mai avvenuto prima.
Le località più colpite si trovano nei bacini bagnati dai fiumi Lamone, Santerno e Senio, in particolare nei comuni rispettivamente di Monte Trebbio (Fc), Fontanelice (Bo) e Casola Valsenio (Ra).
Dai dati pubblicati dal Rapporto Idro Meteo Clima dell'Emilia Romagna 2023, le piogge di intensità moderata, a tratti anche forte, hanno superato in 48 ore i massimi storici registrati a inizio maggio, con massimi di 260,8 millimetri piovuti a Monte Albano (Casola Valsenio, bacino del Senio), 254,8 millimetri a Trebbio (Modigliana, bacino del Lamone), 254,6 millimetri a San Cassiano (Brisighella, bacino del Lamone) e 211,8 millimetri a Monte Grosso (Rocca San Casciano, bacino del Montone).
Per non parlare dei totali delle precipitazioni cumulate sui primi 17 giorni del mese che hanno raggiunto valori fino a 609,8 millimetri a Trebbio (Modigliana, bacino del Lamone) e 563,4 millimetri a Le Taverne (Fontanelice, bacino del Santerno).
(Fonte: Rapporto IdroMeteoClima 2023 - Arpae)
Le acque hanno eroso le sponde dei fiumi, scavalcato gli argini e inondato la pianura, soprattutto le aree più depresse. Almeno 15mila gli edifici allagati nelle campagne a cui si aggiungono quelli nelle città, per un totale di 540 chilometri quadrati di aree allagate.
La pianura è stata sommersa dall'acqua ma anche in collina non è andata meglio.
Frane e smottamenti hanno stravolto l'Appennino e isolato i paesi dell'entroterra. Per esempio, Monte Trebbio, nel comune di Modigliana, rimasto inaccessibile a causa dei versanti franati sulle strade di collegamento, tra cui la Provinciale 21.
A confermare l'eccezionalità degli eventi di maggio 2023 anche l'Aon, un ente europeo che classifica a livello mondiale gli eventi calamitosi di ogni tipo. Quello della Romagna 2023 si posiziona come 3° evento a livello mondiale per gravità, dopo il terremoto in Turchia e Siria e una siccità molto grave in Sud America. Però se confrontiamo la piccola Romagna alle dimensioni di Turchia e Siria o il Sud America l'impatto sul territorio è drammatico.
I danni dell'alluvione, aprile 2023
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La commissione incaricata dalla Regione Emilia Romagna per valutare l'eccezionalità di quanto avvenuto ha stimato tempi di ritorno per i singoli eventi tra i 100 e i 500 anni, a seconda della località considerata. Prima che accadessero, i tempi di ritorno indicanti la probabilità che due eventi di tale intensità si verificassero così ravvicinati nel tempo erano superiori ai mille anni.
Tuttavia, Pierluigi Randi, presidente di Ampro, l'Associazione Meteo Professionisti, spiega come in realtà il tempo di ritorno diminuisca una volta che l'evento si è verificato. È comunque un tempo che indica una media di accadimento e non una frequenza. Potrebbe verificarsi anche in due anni consecutivi e poi di nuovo tra altri 500 anni: la media sarebbe comunque 300.
Ma che cos'è il tempo di ritorno?
Il tempo di ritorno esprime il tempo che intercorre tra due eventi di uguale entità, quindi fornisce una stima del rischio che l'evento si verifichi. Viene continuamente ricalcolato in base agli eventi effettivi.
Spiega Randi: "Per esempio, prima dell'alluvione il tempo di ritorno delle precipitazioni cumulate nelle 36 ore a Casola Valsenio e San Cassiano era vicino ai 500 anni. 500 anni sarebbero la media di accadimento, ma si può avere un evento quest'anno e uno l'anno prossimo e poi più nessuno per mille anni: la media risulterebbe comunque 500 seppur si sono verificati due eventi ravvicinati in 2 anni consecutivi".
Quando il tempo di ritorno è superiore ai 100 anni significa che è un tipo di evento che, come dice Randi, va tenuto d'occhio: se comincia a manifestarsi con una certa frequenza bisogna prestarci molta attenzione.
Trattori in soccorso
L'eccezionalità delle alluvioni del 3-4 e del 16-17 maggio 2023 è testimoniata non solo dai dati scientifici ma anche dalle parole di chi quei giorni li ha vissuti.
"Mi ricordo che il giorno prima pioveva tantissimo - racconta Stefano Pini dell'azienda agricola di Solarolo, riferendosi al 16 maggio -. Però eravamo tutti abbastanza tranquilli, anzi la sera sono venuti i miei amici per guardare la partita".
Quella sera si giocava infatti l'attesissima Champions tra Inter e Milan.
Ma l'alluvione era nell'aria?
"Già in quella giornata mio fratello Danilo aveva iniziato ad insistere che secondo lui sarebbe arrivata l'alluvione, ma mio babbo e mio zio - proprietari dell'azienda - erano abbastanza scettici.
Danilo continuava a sostenere che era meglio mettere al sicuro le cose, che era meglio farlo per niente che non farlo, nel dubbio, e alla fine mio babbo ha deciso di portare via un po' di cose, tra cui i trattori più nuovi, i furgoni e alcuni attrezzi.
La sera del 16, dopo aver guardato la partita, ho iniziato a girare per le strade nei dintorni e c'erano i primi allarmi dell'avanzare dell'acqua e le prime strade chiuse, così al mattino sono rincasato informando la famiglia che l'acqua sarebbe arrivata e di mettere al riparo le ultime cose. Verso le 6.00 abbiamo visto sulla strada affianco a casa i primi cassonetti del pattume arrivare trasportati dall'acqua, e così è arrivata.
Abbiamo tirato su le ultime cose, mucchi di terra, le macchine sui cric.
Controllavo ogni 10 minuti lo stesso punto e vedevo che il livello dell'acqua nella via a fianco della casa cresceva abbastanza in fretta. La corrente era forte quindi abbiamo messo in salvo le galline, gli animali e le ultime cose, poi abbiamo portato su in casa mia nonna e mia zia che stanno al piano terra, a differenza mia che sono al primo piano quindi per fortuna l'acqua non è arrivata, ma comunque ha raggiunto un'altezza di un metro in tutto".
L'Azienda Agricola Pini si trovava a margine delle aree intorno a Solarolo investite dall'inondazione, per cui la mattina dopo l'acqua era già defluita. Una fortuna rispetto a tanti altri che a causa della morfologia del territorio hanno avuto ristagni per giorni se non settimane.
Ma Stefano e Danilo non hanno perso tempo. Dopo aver riavviato la propria azienda e aver messo la nonna in salvo, si sono dati subito da fare per aiutare la comunità. Le vie del paese erano diventate fiumi, percorribili solo dai gommoni e dai trattori.
Stefano e Danilo, infatti, con il trattore aziendale dotato di carrello hanno distribuito tra le case isolate beni di prima necessità messi a disposizione dal supermercato Crai di Solarolo, anch'esso allagato.
I due fratelli non sono stati gli unici ad andare dalle campagne in soccorso del paese. Sono stati molti, infatti, i casi in cui gli agricoltori sono stati i primi ad intervenire, ancora prima dell'arrivo della Protezione civile, mettendo a disposizione i propri mezzi e le proprie risorse.
Dopo gli agricoltori e la Protezione civile sono arrivati anche i volontari, diventati noti come "gli angeli del fango". Stefano, nella sua intervista, parla di un "super abbraccio" intorno alla comunità di Solarolo.
Un lungo momento di unione all'interno del paese e tra paesi vicini, ma anche dal resto di Italia. Alcuni volontari sono arrivati addirittura dall'estero.
"È stato un periodo emozionante, forte, diciamo - ricorda Stefano -. Nel disastro alla fine ci sono state anche delle emozioni positive, tanta umanità, tanta voglia di aiutarsi che mancava da tempo, è stato un momento di emozioni nuove. Poi ovviamente saremmo stati bene anche senza, - ride - però è stato un momento sicuramente forte".
Passati i primi giorni di emergenza, nelle abitazioni si è iniziato a portare via il fango, a lavare e recuperare il salvabile. Allo stesso modo nelle aziende agricole e nei campi.
Uno dei tanti per cui invece la ripartenza non è stata immediata è stato Francesco Montanari, proprietario insieme al padre Giuseppe dell'Azienda Agricola Montanari, circa 50 ettari divisi tra seminativi in rotazione, vigneti e frutteti. Anche questa azienda si trova a Solarolo ma, a differenza di quella di Stefano, alcuni dei suoi campi si trovano proprio vicino al Canale dei Molini, dove ha ceduto l'argine quel 17 maggio. Risultato: vigneti completamente allagati e ricoperti di fango, tanto che Francesco è riuscito ad entrare solo a distanza di settimane.
Visita alle aziende agricole intervistate, luglio 2024
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Una volta drenate le acque c'era ancora molto da fare in azienda. È stato necessario trattare il vigneto contro l'attacco di peronospora, una malattia fungina che attacca tutti gli organi verdi della pianta, foglie, germogli e grappoli; infatti, date le condizioni di umidità e asfissia radicale delle viti un attacco di questo patogeno sarebbe stato molto probabile. Un'operazione di routine in condizioni normali, ma in quelle del post alluvione tutto diventa più difficile: Francesco si è trovato a dover lavorare con il trattore su un substrato di 20 centimetri di fango molle.
Anche passata la prima emergenza, i mezzi agricoli hanno continuato ad essere fondamentali non solo nei campi ma anche nei centri abitati. Gli atomizzatori trainati dai trattori e carichi d'acqua hanno agevolato le operazioni di rimozione del fango dalle abitazioni.
"Mi sento di dire: per fortuna che c'erano gli agricoltori perché se fosse successo in centro a Milano non so come sarebbe andata" dice Francesco Montanari. "Se non c'erano i mezzi come i trattori qua sarebbero ancora nella stessa situazione perché la Protezione civile è arrivata un pochino in ritardo".
(Fonte: Rapporto IdroMeteoClima 2023 - Arpae)
A pochi chilometri di distanza le aziende agricole intorno a Faenza stavano vivendo altre difficoltà. A raccontarcelo è Antonella Marchini, agronoma, agricoltrice e proprietaria di Giorgia Società Agricola.
"La mia esperienza è legata a via Alcide De Gasperi e via Tamburini a Faenza, dove c'erano 4 metri d'acqua. La mia mamma che abita al piano terra aveva l'acqua al soffitto, mentre al terzo piano mia sorella e mio figlio sono stati due giorni chiusi senza acqua, senza luce, guardando i gommoni passare dove prima c'era la strada".
L'impatto è stato durissimo e Antonella ancora si emoziona a ricordare la prima impressione: "Quando abbiamo aperto la porta di casa della mia mamma, che meno male non c'era, io non avrei riconosciuto la casa. I mobili avevano cambiato stanza. Il comodino era sul water e i pensili della cucina erano staccati e ribaltati. Incredibile cosa riesce a fare la forza dell'acqua. È stata una cosa impressionante".
Racconta che in quella casa del quartiere Borgo a Faenza lei ci è nata, ma in 60 anni non aveva mai visto prima l'acqua in cantina, mai.
Ugualmente i suoceri di Antonella, che hanno sempre risieduto nella vicina Sarna (Ra), riferiscono di averne viste di fiumane, ma mai un evento di tale portata e intensità.
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Le ferite della montagna
Si è parlato tanto di case allagate, di campagne devastate, ma troppo poco di montagne franate. L'Emilia Romagna è sì la Regione con la maggior superficie allagabile, ma anche la seconda in Italia per rischio frane, dopo la Toscana.
Ad ulteriore conferma, basti pensare che gli eventi meteorologici di maggio 2023 hanno provocato 65.598 frane censite in totale al 23 dicembre 2023 (Rapporto Commissione Rer) nei territori delle province di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ravenna, Forlì Cesena e Rimini.
In particolare, la provincia di Forlì Cesena è la più colpita con il 62,3%, seguita da Ravenna e Bologna, con rispettivamente il 17,4% e il 16,7% (Rapporto Commissione Rer).
Modigliana è uno dei comuni storici della Romagna toscana: con circa 4mila abitanti e circa 6962 frane censite, è rimasto per settimane isolato. Le frane avevano completamente bloccato le strade principali, tanto che il centro abitato doveva essere rifornito con gli elicotteri.
L'alluvione ha esposto la fragilità del territorio montano.
Ci siamo confrontati con Francesco Bordini, agronomo e agricoltore proprietario dell'Azienda vinicola Villa Papiano situata proprio a Modigliana, sulla complessità delle conseguenze dovute alle frane in questi territori.
Modigliana, insieme alla vicina Brisighella, costituivano i principali bacini idrici che supportavano l'agricoltura nei territori circostanti e quelli di fondovalle come Faenza.
Le frane hanno causato l'interramento di questi bacini, che hanno così perso la capacità di invaso idrico: in parole povere sono venute meno le riserve d'acqua destinate all'agricoltura, non essendoci infrastrutture come dighe. Un grande problema in queste estati così calde e siccitose.
Il secondo problema è legato alla poca o nulla manutenzione ordinaria nei territori montani. Per esempio, a Monte Trebbio, vicino a Modigliana, i danni della bomba d'acqua sono stati amplificati dall'aver trascurato le piccole opere di manutenzione e pulizia che la montagna richiede, come la realizzazione di fossette di scolo.
Guarda il video: ripartire dalla montagna
Agricoltori: i custodi del territorio
Mai come durante i giorni dell'alluvione gli agricoltori hanno dato prova di poter fare la differenza, come testimoniano le numerose persone che si sono viste recapitare un pacco d'acqua e una parola di incoraggiamento dalle finestre del secondo piano. Varie persone sono state inoltre tratte in salvo dalle case e dalle auto prima di essere travolte dall'acqua proprio dai trattori.
Ma gli agricoltori possono fare tanto altro, non solo nell'immediato ma soprattutto nella gestione a lungo termine del territorio, sia in pianura, sia, come ci ricorda Bordini, in montagna.
Se c'è una cosa che l'alluvione ha insegnato è che tutto ciò che c'è a monte poi arriva a valle: un albero che cade in collina nel letto del fiume viene trasportato dal fiume lungo il proprio corso, ostruendolo o danneggiando infrastrutture come ponti e argini.
Il paesaggio è un sistema interconnesso di elementi naturali e artificiali; il territorio di pianura con le sue città e i suoi abitanti è strettamente collegato alle prime colline del suo entroterra, che non solo va protetto, ma va curato e gestito. Per farlo è fondamentale la presenza dell'uomo su questi territori, che definiremo marginali non per importanza ma solo per ubicazione geografica rispetto ai centri urbani.
L'esperienza dell'agricoltore di montagna torna utile non solo nelle operazioni colturali ma anche nella gestione della natura e della biodiversità, nel regimare le acque piovane e creare opportune reti scolanti, nel proteggersi dalla fauna selvatica, così come nel gestire il versante di un pendio affinché sia meno suscettibile alle frane. Ecco spiegato cosa significa gestire il territorio e quali sono alcune delle funzioni importantissime degli agricoltori.
Di conseguenza, è fondamentale la loro presenza non solo in pianura ma soprattutto in montagna, dove le difficoltà sono numerose e il profitto è quindi minore. Per questo motivo il lavoro agricolo svolto nei territori più impervi va incentivato e remunerato adeguatamente.
In questo contesto l'agricoltore rappresenta un vero e proprio presidio sul territorio.
Eppure si parla ancora troppo poco dell'agricoltura di collina e di montagna, che potenzialmente sono i territori più fragili da un punto di vista morfologico, suscettibili a smottamenti e frane, se non ben gestiti, con ripercussioni anche in pianura.
Avere delle persone che vivono e lavorano stabilmente sul territorio è quindi un valore imprescindibile.
"Inevitabilmente però c'è anche un altro aspetto riguardante la dignità, perché non è pensabile far rimanere delle persone sul territorio solo sovvenzionando contributi esigui - continua Bordini-. "La verità è che le persone rimangono sul territorio se hanno un lavoro dignitoso che gli viene giustamente remunerato".
La sostenibilità economica delle produzioni di montagna è un'altra questione.
L'Appennino è infatti famoso per l'agroalimentare di qualità: "Le produzioni realizzate in Appennino sono inevitabilmente condannate all'eccellenza perché per sostentarsi in questi territori occorre realizzare prodotti costosi per trarne il giusto profitto. Qui l'eccellenza non è un vezzo, qui serve perché l'unica cosa che puoi fare è far prodotti straordinari, costosi, perché coltivare la montagna costa soldi".
Bordini suggerisce la necessità di creare un "modo di ragionare che valuti la montagna non come una zona marginale, ma come luogo dove si possono fare prodotti straordinari. ln montagna i 500 metri di dislivello rispetto alla pianura fanno la differenza per questioni legate alle caratteristiche dei suoli e di tutti quegli elementi ambientali che determinano le proprietà organolettiche dei prodotti".
Cita i foraggi, il formaggio, la carne, prodotti di altissima qualità il cui valore va però comunicato al consumatore. Infatti, ad esempio, se far produrre un vigneto in montagna implica grandi attenzioni e cure da parte del coltivatore, è importante trasmettere quel valore a chi lo acquista, spiegandogli perché quel vino ha un certo prezzo. Si tratta di incentivare su larga scala una filiera, quella dell'agricoltura di montagna, ancora troppo poco pubblicizzata.
"Quindi una lezione che ho imparato dal fare agricoltura in montagna è la condanna all'eccellenza. A Modigliana c'è un gruppo di produttori virtuosi che in qualche modo si sta sforzando da anni di vendere un vino che sì costa di più, ma perché c'è un contenuto che fa sì che gli agricoltori non abbandonino questi territori e che le vigne abbiano un valore più alto. Se una produzione ha un valore più alto ti dispiace perderla e quindi la coltivi in modo giusto, crei sistemazioni idrauliche, fossi, recinti e la proteggi proprio perché ha grande valore".
Guarda il video: come avviene una frana boschiva
Adattarsi per essere pronti
È chiaro che non sono sufficienti solo il buon cuore o la buona volontà perché le cose cambino. Servono investimenti mirati sul territorio.
Siccome non è possibile cambiare la conformazione di un territorio, la chiave è l'adattamento: modificare le infrastrutture, calibrare la gestione del territorio e delle acque e presidiare le zone marginali sono dei buoni punti di partenza. Si può cercare di adattare non solo le campagne, ma l'intero territorio alle nuove esigenze dettate dagli effetti del cambiamento climatico.
Basti pensare alle opere di cementificazione e al consumo di suolo nei centri abitati che hanno costretto i fiumi a scorrere in alvei confinati e sempre più piccoli.
Ridare spazio ai fiumi è sicuramente un primo passo, a cui deve seguire una buona manutenzione degli argini e il controllo della vegetazione nei corsi d'acqua, in grado di rallentare la velocità dell'acqua e diminuirne la potenza. Infatti, come ha spiegato Randi, i fiumi dell'Emilia Romagna sono piuttosto corti e ripidi data la breve distanza tra l'Appennino e l'Adriatico: quando arriva l'onda di piena arriva molto velocemente, sottoponendo gli argini a grandi pressioni.
La resilienza di un territorio passa anche attraverso la progettazione strategica dei centri urbani.
Nel corso della nostra intervista Randi suggerisce, infatti, la possibilità di ripensare ex novo le nostre città, ispirandosi ai nuovi modelli di sostenibilità urbana che prevedono la realizzazione di "città oasi" o "città ombra", in cui la vegetazione costituisce l'elemento principale, per ridurre l'impatto delle alte temperature. O ancora le "città spugna", dove le superfici urbanizzate sono dotate di un'efficiente rete scolante sotterranea in grado di assorbire, filtrare e gestire l'acqua, come fa una spugna in natura, facendola defluire velocemente verso punti di raccolta opportunamente predisposti fuori dai centri abitati.
Il dissesto idrogeologico dell'Appennino intorno a Modigliana a più di un anno di distanza dall'alluvione, luglio 2024
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Un altro aspetto da tenere in considerazione è legato alla gestione di responsabilità e obblighi burocratici.
Nel corso della nostra intervista Antonella Marchini, della Società Agricola Giorgia, ha sollevato dubbi riguardanti problemi di competenza e responsabilità nella gestione degli argini dei fiumi che attraversano le aziende agricole. Infatti, l'alluvione ha provocato l'erosione di un margine di un appezzamento coltivato a kiwi della sua azienda a ridosso del fiume Lamone. L'impeto dell'acqua ha eroso dal basso una sponda del terreno facendola crollare e rendendo inaccessibile il campo a qualsiasi mezzo.
Sebbene la proprietà della sponda fluviale fosse dell'agricoltrice, la gestione dell'argine non le è permessa dal Regio Decreto 523, risalente al1904.
Inoltre, la frana ha esposto diverse tane di nutrie e tassi che hanno inficiato l'integrità dell'argine, contribuendo al crollo. In questo caso, la gestione della fauna selvatica si aggiunge alla complessa gestione idrogeologica del territorio.
Anche la natura va gestita perché è corretto voler mantenere la biodiversità e tutti quegli elementi del paesaggio, come i corridoi fluviali, che contribuiscono ad avere un ambiente ed un ecosistema sano.
Tuttavia, affinché la convivenza tra uomo e natura sia funzionale ci deve essere un giusto equilibrio tra le parti: regimazioni idrauliche, pulizia degli argini, gestione della vegetazione e controllo della fauna selvatica si sommano per avere una gestione a 360 gradi del territorio.
In questo contesto la presenza degli agricoltori diventa un servizio di cui beneficia tutta la comunità.
Cambiamento climatico sì, cambiamento climatico no
Arrivati a questo punto, c'è ancora una domanda irrisolta, una domanda che per lungo tempo è rimasta sulle bocche di molti: il cambiamento climatico quanto c'entra nell'alluvione di maggio 2023?
Se la domanda è semplice la risposta non lo è affatto.
"Non possiamo attribuire l'evento singolo al cambiamento climatico, ma non dimentichiamoci del fatto che in entrambe le situazioni (3-4 e 16-17 maggio) ci sono state delle forti anomalie di temperatura: la prima sul Mediterraneo occidentale e la seconda volta sul Nord Africa, quindi un'influenza c'è stata" dice il meteorologo Pierluigi Randi. "Quando si prova ad attribuire un evento al cambiamento climatico bisogna tenere presente che più un evento è di breve durata e più è difficile attribuirlo singolarmente al cambiamento climatico, mentre più un evento è prolungato e più diventa semplice l'attribuzione. In questo caso, l'ondata di caldo anomalo non ha interessato solo la Romagna ma praticamente tutto il bacino del Mediterraneo.
Se qualcuno mi chiede di attribuire quello che è successo in Romagna al cambiamento climatico, io una mia idea ce l'ho però faccio fatica a dimostrarla: secondo me una piccola impronta di cambiamento climatico c'è stata, dovuta a quella anomalia di temperatura di cui si parlava prima, però per maggiore rigore scientifico non si può trarre conclusioni da un solo evento".
La fisica insegna che l'aria più è calda e più vapore contiene, per cui se la temperatura dell'atmosfera aumenta di 1 grado, l'atmosfera tratterrà il 7% di acqua in più sotto forma di vapore acqueo, che renderà più violento il temporale.
Tutto è correlato alla temperatura e di conseguenza al surriscaldamento globale: con il trend di aumento delle temperature avremo un modo di piovere che si avvicinerà sempre più a quello tropicale.
Quello invece che la comunità scientifica ha già potuto attestare grazie ai dati è il cosiddetto "colpo di frusta" delle precipitazioni (precipitation whiplash), cioè periodi molto lunghi in cui la piovosità è inferiore al normale seguiti da periodi con piogge anche molto intense. Proprio la Romagna ne è un esempio: dopo la grave siccità del 2021-2022, ci sono state le piogge straordinarie del maggio 2023, per poi tornare ad un periodo di piogge scarse.
I modelli climatici mostrano che questa alternanza sta aumentando di frequenza: diventeranno sempre più ricorrenti periodi lunghi in cui piove poco e periodi brevi in cui piove tantissimo. L'area mediterranea vedrà sempre meno perturbazioni, ma più intense, come si configura il colpo di frusta delle precipitazioni.
Dice Randi: "Le estati degli Anni Sessanta, Settante e Ottanta non esistono più e bisogna prendere atto del fatto che le cose stanno cambiando, dalle ondate di calore al modo di piovere. Bisogna mettere in conto l'amplificazione degli estremi".
Cita i dati raccolti dal 2000 ad oggi: le precipitazioni medie estive in Romagna sono diminuite del 25%.
"Anche l'inverno è cambiato, diventando uno pseudo-inverno con temperature in aumento che inducono un risveglio vegetativo anticipato. Questo può causare ingenti danni in caso di gelate tardive perché mentre fino a 50 anni fa piante si trovavano in riposo vegetativo quando arrivava una gelata, oggi più frequentemente si trovano già in fiore, causando un disastro nella produzione. Sta diventando essenziale per gli agricoltori confrontarsi con il nuovo clima e prenderci le dovute misura, talvolta adattandosi".
Guarda il video: come ha avuto origine l'alluvione di maggio 2023
Guardando avanti
Ma quindi cosa può fare l'agricoltore di fronte agli effetti del cambiamento climatico? Confrontandoci con i coltivatori e gli esperti emerge che qualcosa si può fare per mitigarne i danni. E tutto parte dalla presenza degli agricoltori sul territorio.
"Un piccolo fosso aperto con la vanghetta tiene ferme le alluvioni" - spiega Bordini, l'agronomo. "La militanza sul territorio è quello che ci fa dire che gli agricoltori sono custodi della montagna, che senza gli agricoltori la montagna crolla".
Bordini ci accompagna poi a visitare la sua azienda Villa Papiano, di cui è estremamente orgoglioso, e ci mostra i vigneti terrazzati. I terrazzamenti rappresentano infatti una delle migliori sistemazioni da utilizzare su terreni particolarmente ripidi. Si tratta di una modalità di sistemazione del terreno che permette di creare piani orizzontali, dove è più agevole coltivare, tagliando in orizzontale un pendio. Questa tecnica è stata elaborata e tramandata dai monaci camaldolesi, che vivevano in armonia con il bosco, tra gestione e conservazione.
"Siamo in grado di prevenire quello che succederà? Ho parecchia ansia a riguardo perché a un anno di distanza vedere i fossi ancora chiusi o sporchi non fa ben sperare" conclude Bordini alla fine dell'intervista. "So che è faticoso quando piove andare ad aprire un fosso, però senza quello la montagna non sta ferma".
Questo reportage è stato realizzato da AgroNotizie® nell'ambito del progetto Anso "Scrivo da un paese che non esiste", dedicato al racconto di piccoli e grandi eventi nel territorio legati agli effetti del cambiamento climatico in Italia. Anso è l'Associazione Nazionale Stampa Online di cui AgroNotizie® è socia.
Si ringraziano Stefano Pini e la nonna Fernanda Gaudenzi, Francesco e Giuseppe Montanari, Antonella Marchini, Pierluigi Randi, Francesco Bordini e tutte le persone che lo hanno reso possibile.
Hanno partecipato alla realizzazione:
• Chiara Manfroni: scrittura e interviste
• Francesca Bilancieri: editor e infografiche originali
• Gabriele Ragazzini: fotografie
• Riccardo Cavina: riprese e montaggio video e social