Un po' di pioggia

Alla fine un po' di pioggia è arrivata, ma certo non sufficiente a risolvere il problema della siccità.
Una conseguenza dei cambiamenti climatici in atto, che impongono un ripensamento delle strategie di approvvigionamento delle risorse idriche.
Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l'ente delle bonifiche italiano che gestisce 231 mila chilometri di canali, propone una rete di impianti piccoli e medi, da Nord a Sud, per raccogliere l'acqua piovana e utilizzarla quando occorre, sia per l'agricoltura sia per gli altri usi.
È questa la proposta che si legge su Il Messaggero in edicola il 28 marzo, a proposito di un progetto che prevede la realizzazione di un migliaio di piccoli e medi bacini che abbiano un basso impatto sull'ambiente e sul paesaggio, in grado di raccogliere l'acqua piovana in eccesso.


La maggiore disponibilità irrigua che ne deriva consentirebbe di mettere a coltura almeno 800mila ettari, offrendo al contempo la possibilità di dare occupazione a un milione di addetti e di produrre anche energia idroelettrica.
I costi di questa operazione, si legge ancora nell'articolo, sarebbero di due miliardi di euro e per completare le opere sarebbero necessari dai cinque ai sei anni.
Le risorse ora previste nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) non sarebbero però sufficienti.
Rimane in ogni caso l'opportunità di spendere in infrastrutture, piuttosto che per riparare i danni provocati dalla siccità o dal dissesto idrogeologico.

 

Poca acqua per riso e vino

Al tema della siccità dedica un ampio servizio il quotidiano La Stampa, dove Roberto Maggio fa il punto sulle preoccupazioni dei coltivatori di riso nel triangolo fra Vercelli, Novara e Pavia.
In questa area la scarsità delle precipitazioni e la carenza di neve mettono in forse la disponibilità di acqua per l'allagamento delle risaie.
Est Sesia, il consorzio di irrigazione che opera su cinque province a forte intensità risicola, lamenta l'impossibilità di pianificare le attività per la mancanza di acqua.

 

La Stampa continua sullo stesso argomento con l'articolo di Antonella Mariotti, che si occupa delle semine primaverili di mais, messe in forse dalla mancanza di acqua.
La siccità in tutto il bacino del Po minaccia anche la produzione di pomodoro, di frutta e verdure.

In difficoltà ci sono anche i vigneti dell'astigiano, come scrive Pierottavio Daniele, mentre il presidente del consorzio della Barbera d'Asti e dei vini del Monferrato, Filippo Mobrici, ritiene necessario che la ricerca scientifica si occupi della individuazione di cloni più adatti al nuovo clima.


In cerca di mais e di energia

Le conseguenze del conflitto fra Russia e Ucraina si fanno sentire sulla disponibilità di materie prime.
Secondo la Cia, Confederazione italiana agricoltori, mancano almeno 600mila tonnellate di mais, oltre a 57mila tonnellate di grano duro e 160mila di grano tenero.
La sfida, scrive Rosaria Amato su La Repubblica del 30 marzo, è quella di riuscire ad aumentare la produzione interna, compensando le mancate forniture di Russia e Ucraina.


Occorre poi fare i conti con due problemi, la siccità e il caro energia.
Per quest'ultimo aspetto l'articolo ricorda il recente varo del decreto "agrisolare" che mette a disposizione 1,5 miliardi di euro per l'istallazione di impianti fotovoltaici sugli edifici utilizzati in agricoltura.
Per Donato Rotundo di Confagricoltura è necessario definire se questi impianti fotovoltaici possono essere installati anche sulle serre, laddove c'è un elevato consumo energetico.
Sul tema degli approvvigionamenti di prodotti alimentari interviene Ivano Vacondio di Federalimentare, secondo il quale non si ravvisano problemi di disponibilità, ma sarà necessario tenere conto degli inevitabili aumenti di prezzo


I soldi del fotovoltaico

Entro il prossimo 30 giugno il ministero per le Politiche agricole dovrà emanare il bando con il quale vengono resi disponibili 1,5 miliardi di euro per gli anni fra il 2022 e il 2026, destinati a incentivare l'installazione di pannelli fotovoltaici in campo agricolo.
Come riporta Francesco Giuseppe Carucci su Il Sole 24 Ore del 31 marzo, il decreto attuativo è stato firmato in questi giorni e prevede aiuti in contributo in conto capitale per gli impianti da collocare sui tetti di edifici agricoli


Gli impianti dovranno essere finalizzati in prevalenza all'autoconsumo dell'energia prodotta.
Potranno usufruire delle incentivazioni gli imprenditori agricoli, anche costituiti in società, come pure le cooperative.
Fra i beneficiari sono comprese le imprese dell'agroindustria, ma non le cooperative di trasformazione, al momento non menzionate.
Tuttavia non è escluso che anche queste ultime possano accedere ai benefici previsti nel caso le loro attività siano legate all'agroindustria.
Sono invece esclusi i produttori agricoli in regime di esonero Iva.
L'articolo si conclude ricordando che gli incentivi sono cumulabili con altri aiuti di Stato.


Attenti, qui si chiude

Fertilizzanti, mangimi, sementi, agrofarmaci e noleggi.
Nessuna di queste voci è esente dall'ondata di rincari delle ultime settimane e i conti per gli agricoltori rischiano di finire in rosso, tanto da mettere a rischio chiusura un'azienda su dieci.
A fare i conti ci ha pensato il Crea, il Consiglio per la ricerca e l'analisi dell'economia in agricoltura, arrivando a calcolare extra costi per 15.700 euro per azienda, ma con differenze abissali da un comparto all'altro, come evidenzia Attilio Barbieri nell'articolo pubblicato su Libero del primo aprile.


Il peso maggiore lo dovranno sopportare i seminativi, come cerealicoltura e ortofrutta, seguiti dagli allevamenti da latte.
Aumenti in media del 54%, destinati a incidere di più sulle aziende di minori dimensioni e in quelle collocate in zone marginali.
Gli aumenti più significativi si sono registrati per i fertilizzanti (+170%), seguiti da mangimi e gasolio, aumentati rispettivamente del 90% e del 129%.
Ma se la situazione dovesse perdurare questi rincari potrebbero crescere ulteriormente, aggravando una situazione già molto difficile.
L'articolo si conclude evidenziando che l'aumento dei costi inciderà di più sulle aziende della Lombardia, e meno in quelle della Calabria.


Il mangime ha preso il treno

Quando si punta il dito contro gli allevamenti per evidenziarne il contributo all'emissione di gas climalteranti (comunque assai modesto se paragonato a quello di trasporti e industrie), si prendono in considerazione tutte le componenti della produzione.
Dunque non solo le emissioni in senso stretto delle aziende di allevamento, ma anche di quelle legate alla produzione di materie prime per l'alimentazione del bestiame, per la loro lavorazione, il trasporto, e via di questo passo.
Ora questa "formula" dovrà essere almeno in parte rivista grazie a un'iniziativa del gruppo Veronesi, fra i leader italiani nella produzione di mangimi.


Dalle pagine de Il Sole 24 Ore del 2 aprile, Marco Morino informa che questo gruppo industriale ha adottato per i trasporti la strada ferrata e già nei mesi scorsi era stato sperimentato con successo il treno più pesante che abbia mai viaggiato sulle ferrovie italiane, trasportando 2500 tonnellate di cereali, l'equivalente di 75 tir.
Una scelta che consente di abbattere l'80% delle emissioni di CO2.
Il treno sarà ora utilizzato per il traffico di alimenti zootecnici fra l'area di Mantova e lo stabilimento di Fossano (Cuneo), destinato ad accogliere il traffico di 25mila tonnellate di merci.
L'articolo si conclude ricordando che quattro dei sette impianti del gruppo sfruttano collegamenti via ferro e via mare, con una significativa riduzione delle emissioni. 


Vetro cercasi

Al lungo elenco di materie prime per le quali si registrano rincari ora si aggiunge anche il vetro.
Un problema in più per i produttori di vino, che già si stanno preparando alla prossima edizione del Vinitaly, in programma a Verona dal 10 al 13 aprile.
I successi sul fronte dell'export, scrive Carlo Cambi su La Verità del 3 aprile, sono messi in forse dagli aumenti di costi, che solo per etichette e bottiglie oscillano fra il 15 e il 20%, che si sommano a quelli di uguale portata registrati a fine 2021.
Costi che i produttori dovranno riversare sui prezzi, con il rischio per molti vini di andare fuori mercato.


Preoccupazioni che aumentano in particolare per il Prosecco, come spiega. Alessandro Botter di Unione italiana vini, e in genere per gli spumanti, per i quali sono necessarie bottiglie di maggior costo e qualità, cui vanno aggiunti i tappi e le gabbiette di alluminio.
Oltre ai maggiori costi si lamentano ritardi nelle consegne per la mancanza di bottiglie, tanto che i tempi di evasione degli ordini si sono allungati dai normali 60 giorni a sei mesi.
È l'effetto domino, conclude l'articolo, di una crisi che sembra non conoscere argini.

 


"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
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