L'Unione europea con l'approvazione del bilancio e del Regolamento (Ue) 2020/2220 ha stanziato i fondi per il finanziamento della proroga dei Programmi di sviluppo rurale 2014-2020 sul biennio di transizione 2021-2022 per circa 3.920 milioni di euro. Le risorse attingono a due fonti finanziarie diverse: il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, che per l'Italia vale circa 3.000 milioni, e la quota nazionale del Recovery fund (Next generation Eu) destinata allo sviluppo rurale, pari a circa 920 milioni.

Ma in queste ore in Italia le Regioni sono alla ricerca di un accordo sul come dividere la torta, perché nella riunione della commissione Politiche agricole della Conferenza Stato-Regioni del 20 gennaio scorso si è consumato un duro scontro sui criteri di riparto da adottare, tra regioni del Centro-Nord, quelle definite come "più sviluppate", fautrici di una ridefinizione dei criteri a proprio vantaggio, e regioni del Sud, che sono tutte nella categoria "meno sviluppate" che hanno chiesto di mantenere gli stessi criteri adottati nel 2014. Su questa spaccatura la Regione Campania sta ora lavorando ad un'ipotesi di mediazione che sarà all'esame degli assessori alle Politiche agricole il 26 gennaio prossimo, data alla quale è stata riconvocata la riunione della commissione.
 

Regione Siciliana, non vogliamo perdere centinaia di milioni

"Il punto sul quale si è acceso il confronto ha riguardato la posizione della Regione Siciliana sulla proposta di trasferire risorse economiche dalle regioni del Sud del paese a quelle del Nord", ha fatto sapere l'assessore all'Agricoltura, sviluppo rurale e pesca mediterranea della Regione Siciliana, Toni Scilla, che ha partecipato alla riunione. Secondo quanto riferito in una nota stampa della Regione Siciliana, Veneto, Emilia-Romagna ed altre regioni del settentrione d'Italia hanno proposto di azzerare il criterio di riparto attualmente vigente, giudicato come "iniquo e a chiaro vantaggio del Sud".

Ma il Regolamento (Ue) 2020/2220 sulla transizione non modifica in alcun modo l'articolo 59 del Regolamento (Ue) 2013/1305, che sancisce solo i criteri di massima per la ripartizione delle risorse comunitarie, per altro ponendo tetti precisi alla partecipazione del Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale ai Psr delle regioni meno sviluppate. E al contempo i regolamenti di attuazione della nuova Pac - che saranno in vigore dal 2023 - non sono stati ancora adottati.

L'assessore siciliano Scilla ha infatti risposto che un eventuale cambio dei criteri di riparto realizzerebbe una "proposta contraria al regolamento Ue sulla transizione". Ed ha aggiunto: "Non permetteremo che la Sicilia venga depredata di una somma ingente, si tratta di centinaia di milioni di euro che verrebbero meno. Alla luce della normativa comunitaria vigente, il modello di riparto già utilizzato nella prima parte della corrente programmazione, 2014-20, deve estendersi per il biennio aggiuntivo 2020-21. I nuovi criteri di riparto, che dovranno riguardare tutta la nuova Pac, decorreranno eventualmente dal 2023 quando l'Unione europea avrà approvato i nuovi regolamenti".

Scilla, ha anche evidenziato "il ruolo del Meridione d'Italia che in una logica di rilancio economico del paese, specialmente in un momento critico come quello che stiamo attraversando, non può essere sacrificato a errate interpretazioni".
 

Le Regioni del Sud fanno fronte comune

Questa la posizione dall'assessore siciliano nel suo intervento e prontamente condivisa dalle Regioni del Sud e dall'Umbria. Le Regioni del Nord avrebbero proposto, da quanto se ne sa, un criterio che avrebbe dimezzato l'apporto del Feasr verso le regioni meno sviluppate rispetto al 2014. Una spaccatura alla quale ora si cercherà di trovare una soluzione, fermi restando i massimali del Regolamento (Ue) 2013/1305, tuttora vigenti.
 

Psr, come furono assegnate le risorse nel 2014

In attesa di conoscere come finirà questa diatriba sul riparto delle nuove risorse Feasr per i Psr regionali in transizione 2021-2022, vale la pena ricordare quali sono i criteri Ue tuttora vigenti, e quali furono gli accordi nella Conferenza Stato-Regioni del gennaio 2014, che sancì materialmente il riparto del Feasr e l'attribuzione delle risorse nazionali.

Le risorse assegnate alle regioni italiane sui Psr 2014-2020 ammontarono a 18,62 miliardi di euro di spesa pubblica, pari ad oltre l'89% della dotazione italiana sullo sviluppo rurale e all'epoca delinearono un incremento di risorse del 6% rispetto al periodo 2007-2013.

Il riparto si basò - in modo prevalente - sul criterio storico di allocazione, a cui furono apportati alcuni correttivi, introdotti per tenere conto della diversa capacità di spesa dimostrata dai programmi nella fase 2007-2013. Il tutto nel rispetto dei tetti massimi posti dalla Ue con l'articolo 59 del regolamento (Ue) 2013/1305 alla partecipazione del Feasr nelle varie regioni: 85% della spesa pubblica ammissibile nelle meno sviluppate, 63% per le regioni in transizione e 53% della spesa pubblica per le più sviluppate.

Tra i correttivi fu adottato, in particolare, la differenziazione delle percentuali di cofinanziamento comunitario e nazionale. In particolare, si abbassò il cofinanziamento comunitario per i programmi che avevano dimostrato più efficienza nella spesa e li si elevarono nel caso opposto, mantenendo invariato a livello nazionale il rapporto di uno a uno complessivo tra quota comunitaria e quota nazionale, con un tasso di cofinanziamento medio del 50%.

L'obiettivo dichiarato fu quello di conseguire un potenziale incremento dell'efficienza di spesa attraverso tassi Feasr diversificati. In questo modo, pur garantendo una maggiore dotazione complessiva a tutte le regioni, si crearono le condizioni per ridurre il rischio di disimpegno automatico, considerato che un'eventuale regione in disimpegno meno efficiente nella spesa avrebbe trasferito fondi ad un'altra più efficiente. Tale correttivo puntava anche a mitigare la necessità di fare ricorso ad una accelerazione della spesa nel mese di dicembre, che troppo spesso espone a un peggioramento della qualità della spesa.

Altro principio dell'accordo fu quello dell'allineamento della contribuzione regionale, che rappresenta ancora oggi per tutte le Regioni e Province autonome il 30% della quota pubblica nazionale, rendendo sostanzialmente omogenea la contribuzione rispetto alla programmazione 2007-2013.