Questa è la famosa domanda alla base della teoria del caos.
In realtà oggi dal Brasile arriva molto di più un flebile battito d'ali. Ma andiamo per gradi.
Tutti noi sappiamo come l'allevamento intensivo sia sempre più basato sulla coltivazione estensiva della soia (per ulteriori informazioni si veda il bel documentario Soyalism di Liberti&Parenti) . Anche i non appassionati di geopolitica sanno poi dei contrasti fra il presidente americano e quello cinese in materia di dazi, un contrasto che ha fatto bloccare le frontiere cinesi a una immane quantità di soia statunitense, indispensabile per alimentare il crescente mercato del Sol Levante, sempre più avido di carne e latte.
A guadagnarci sarebbe il Brasile e gli altri stati del Mercosur (Argentina, Paraguay e Uruguay).
Secondo quanto pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature, il Brasile dovrebbe produrre circa 40 milioni di tonnellate in più e per farlo, calcoli alla mano, ha bisogno di circa 13 milioni di ettari in più: sarebbe a dire di una superficie agraria pari grossomodo a quella italiana.
I 13 milioni si aggiungerebbero ai 34 milioni di ettari a soia già coltivati in Brasile e sarebbero ovviamente ottenuti distruggendo la foresta vergine.
E infatti, dalla presa di potere del presidente brasiliano (non esattamente ambientalista) Jair Bolsonaro, pare che i satelliti diano un aumento del disboscamento pari al +88%. E' abbastanza curioso constatare che i "ruralistas" - i grandi latifondisti brasiliani - abbiano prima cercato di esportare le loro produzioni in Mozambico, appropriandosi giusto giusto di 13 milioni di ettari, ma sono stati bloccati da una rivolta di contadini.
Ora è la Chiesa cattolica che in Brasile si batte per tutelare gli interessi degli indios.
Intanto Bruxelles non sta con le mani in mano e con un'accelerazione improvvisa ha chiuso gli accordi con i paesi del Mercosur, le cui trattative duravano da più di 20 anni.
Ne vedremo delle belle; e forse, purtroppo, anche più di un tornado (metereologico ed economico).