Una piccola notizia di cronaca, scampata non si sa come allo tsunami di comunicati sui milioni di cotechini consumati e di tappi di spumante saltati nei pranzi e cenoni tra Natale e Capodanno, mi ha dato lo spunto per questo Pit-stop: il riconoscimento da parte della Regione Emilia Romagna del 'Distretto del pomodoro del Nord Italia' sviluppato sull’asse Parma-Piacenza-Cremona con ampie ramificazioni nell’intera Pianura Padana.
E proprio al pomodoro voglio dedicare questo elogio e cercare in poche righe di spiegare perché può rappresentare un modello da seguire per aumentare la competitività e affrontare con successo la sfida con il mercato.
Il decollo del distretto, sul quale una volta tanto va sottolineato anche il ruolo propulsore degli Enti locali e delle Istituzioni, rappresenta il traguardo di un lungo lavoro avviato molti anni fa, imposto proprio dalle riforme radicali della Politica agricola europea, la cui ventata riformista ha realizzato nel settore dell’ortofrutta, pomodoro compreso, il primo laboratorio di un modello interprofessionale orientato al mercato.
Concetti ampiamente ripresi nelle proposte di riforma della Commissione Ue per ridisegnare la Pac del futuro prossimo.
Già negli Anni Novanta, la filiera era stata capace di adeguarsi a due importanti riforme: prima l'abolizione delle quote produttive assegnate ai conservifici, poi l'abolizione del plafond finanziario che ne aveva preso il posto; infine, proprio in questa ultima campagna, il salto definitivo nel regime del disaccoppiamento totale degli aiuti.
L’unico comparto produttivo (insieme al tabacco) ad aver difeso la necessità di utilizzare il rodaggio triennale che Bruxelles concedeva per rendere meno traumatico il passaggio ai nuovi meccanismi che premiano anche la non produzion voluto da tutta la filiera, a eccezione della sola Coldiretti.
Il regime provvisorio è stato ben utilizzato, visto che la filiera si è presentata con una rafforzata base interprofessionale e una rodata governance del settore.
Quando nel 2007 l’impennata delle materie prime faceva litigare a suon di comunicati e di accuse reciproche agricoltori e industriali sulle colpe dei rincari del grano duro e della pasta, pomodorari e industriali riuscirono a firmare un accordo che concedeva agli agricoltori un aumento dei prezzi del pomodoro di oltre il 50%.
Così anche in questa prima campagna produttiva di aiuti disaccoppiati, le insidie della novità sono state in parte assorbite dalla stipula di un accordo che ha garantito ai produttori poco meno di 90 euro a tonnellata.
Certo la crisi non risparmia nemmeno pelati e passate: i consumi interni sono in affanno e anche l’export aumenta i volumi ma cede in valore; nel complesso, però, il sistema tiene e si conferma un fiore all’occhiello del made in Italy alimentare.
La programmazione produttiva ha evitato i surplus, mentre i più decantati formaggi Dop stanno impegnando un intero negoziato a Bruxelles per avere la sospirata deroga alle norme sulla concorrenza che consentirà di contingentare dall’alto la produzione in funzione dell’andamento del mercato. I produttori di vino (altro settore blasonato) gridano al lupo al lupo in vista dell’abolizione dei diritti di impianto, un sistema che risale al medioevo della Pac e che garantisce una rendita di posizione.
Per finire con le quote latte, tanto odiate per le multe, ma che nessuno vorrebbe abolire perché drenano in qualche misura lo strapotere produttivo delle fabbriche bianche del Nord Europa.
Il nostro elogio va dunque al pomodoro (e al suo distretto), che ha saputo fare da sé.
Un settore considerto maturo dagli esperti di marketing, che ha saputo però mostrare anche una maturità di strategia che gli vale, tra l’altro, l’oscar di settore export oriented, capace di realizzare sui mercati esteri circa il 50% del suo fatturato, quasi il triplo della striminzita media del 17% (virgola qualcosa) dell’intero alimentare made in Italy.
E soprattutto è riuscito a costruire quel gioco di squadra nei cui schemi il ruolo dell’agricoltore ha trovato il giusto riconoscimento non solo come produttore di materia prima, ma anche da protagonista industriale, rilevando marchi prestigiosi (un esempio è il Pomì della vecchia Parmalat) grazie all’intraprendenza delle sue Organizzazioni di produttori.
Meditate agricoltori, meditate!