La notizia è rimbalzata nei giorni scorsi e vede coinvolti il gruppo di produttori di suini Syproporcs e il macello industriale Herta (che fa capo a Nestlé). L’accordo stabilisce un prezzo dei suini per un periodo di sei mesi, a partire da luglio 2015.
Sviluppato con un ricercatore della Scuola di economia “Agrocampus” di Rennes, il prezzo fissato dal contratto sarà valido per ciascun produttore per il volume di fornitura determinata e per un determinato periodo, a prescindere dal compratore.
Di conseguenza, quando il prezzo di mercato dei suini si troverà al di sotto del prezzo pattuito nel contratto, Herta verserà agli agricoltori la differenza, anche se non è l’acquirente.
Al contrario, se il prezzo rilevato sul mercato sarà superiore a quello stabilito nel contratto swap, gli agricoltori trasferiranno l’importo del risarcimento a Herta.
“Accordi così rendono sostenibile l’attività – commenta Andrea Cristini, presidente dell’Associazione nazionale allevatori di suini (Anas) – perché finora nessuno ha capito che produrre i suini al di sotto dei costi di produzione porta alla chiusura degli allevamenti”.
Un’intesa simile potrebbe essere applicata anche in Italia? “Secondo me sì – prosegue Cristini - Io è molto tempo che sollecito una svolta e un contratto di fornitura dei capi a prezzo fisso potrebbe essere la soluzione. E magari ci si potrebbe anche spingere oltre, integrando il costo di produzione dei maiali, in modo che anche le oscillazioni dell’energia, della manodopera e soprattutto del prezzo dell’alimentazione possa essere adeguatamente rappresentata”.
Una durata contrattuale di sei mesi, secondo il numero uno di Anas, “potrebbe essere anche per l’Italia un approccio interessante, per poi naturalmente applicare una formula più duratura nel tempo”.
Per il presidente di Opas e dell’associazione di op Unapros, Lorenzo Fontanesi, “l’accordo trovato in Francia è sicuramente interessante e potrebbe trovare asilo anche all’interno della filiera italiana”. D’altronde, osserva Fontanesi, “non è un mistero che la Commissione unica nazionale stia attraversando un momento difficile e, accanto alle varie proposte avanzate per sostenere la suinicoltura, anche un contratto di conferimento dei suini a prezzo fisso potrebbe essere un’ipotesi per interpretare il mercato in modo più moderno”.
Ne deriverebbero conseguenze senza dubbio positive, dice Fontanesi. “Così potremmo stabilizzare i prezzi e, come allevatori, programmare la produzione – assicura – e approdare a soluzioni contrattuali che non sono solo di accaparramento, ma si arriverebbero a definire le quantità e le caratteristiche del prodotto. E d’altronde l’approccio attuato in Francia non deve stupire, perché in altri settori merceologici la formula del prezzo fisso per un periodo definito non è una novità”.
Un commento positivo all’esempio francese arriva anche da Serafino Valtulini, produttore bresciano e presidente della sezione Suini di Confagricoltura Lombardia. “In Francia hanno trovato un accordo – osserva – mentre noi in Italia abbiamo difficoltà a mettere insieme le organizzazioni agricole fra loro, le cooperative di produttori e i macelli cooperativi. Non voglio muovere accuse, perché non siamo in una fase da poter perdere tempo, ma una riflessione è necessaria”.
Valtulini non condivide l’immobilismo che pervade il settore. “È dal 2007 che si parla di un accordo di filiera, di rilancio della suinicoltura, di accordi interprofessionali – ricorda – ma poi i punti sottoscritti non hanno avuto mai alcuna realizzazione pratica efficace e siamo ancora fermi a parlare di Cun, con proposte insensate di doppio prezzo per gli allevatori e i macellatori. Di questo passo si chiude”.
Vicepresidente della federazione di prodotto dei suini a livello nazionale, Valtulini annuncia che il prossimo 27 luglio a Roma si riuniranno tecnici e allevatori di Confagri, insieme al presidente nazionale Mario Guidi per discutere della creazione di associazioni temporanee di impresa per la commercializzazione aggregata dei suini; per individuare un connubio con i macelli cooperativi in modo da raddoppiare i turni e aumentare la capacità di macellazione; per studiare le norme da sottoporre all’iter legislativo parlamentare, per avere un Testo Unico della suinicoltura; per stendere un piano di filiera, partendo da una bozza già stesa da Agrinsieme.
Il professor Gabriele Canali, economista agrario e direttore del Crefis (Centro di ricerca delle filiere suinicole), vede di buon occhio la scelta adottata da Syproporcs e Herta. “In diverse occasioni – sostiene - avevo raccomandato alla filiera di avvicinarsi a forme contrattuali che andassero oltre la contrattazione spot, spostandosi su accordi più organici di medio-lungo termine”.
La chiave, per Canali, è capire la durata degli accordi di fornitura. “Un contratto di sei mesi – dice - è già abbastanza lungo. Sarebbe ragionevole iniziare, forse, con durate più brevi, tipo tre mesi. Ma è altrettanto vero che i tempi di crescita dei suini consentono una programmazione anche di sei mesi”.
In una situazione di incertezza che perdura da troppo tempo, osserva Canali, “è bene dare agli allevatori ragionevoli certezze sul futuro e magari fare in modo che, accanto a un contratto a prezzo fisso sul conferimento dei suini, si affianchi uno strumento di assicurazione verso i costi legati all’acquisto delle materie prime destinate all’alimentazione”.
Resta aperta la questione legata agli imprevisti. “Come potrebbero essere gestiti contrattualmente le improvvise oscillazioni dei prezzi internazionali, le perturbazioni dei mercati che portano a repentini crolli o impennate dei listini, o lo scatenarsi di patologie su larga scala o anche l’embargo della Russia, per citare un altro caso?”, si domanda il professor Canali.
In ogni caso, osserva il direttore del Crefis, “non c’è un obbligo di vincolare tutta la produzione di ogni singolo allevamento, ma è ineccepibile che di una programmazione produttiva potrebbe beneficiare tutta la filiera. Inoltre, un contratto che fissa in anticipo il prezzo della fornitura dei suini ai macelli diventa un incentivo anche per innescare ulteriori accordi, magari fra i macelli e i trasformatori o con la grande distribuzione organizzata. In questo modo si ridurrebbero i rischi della volatilità lungo la filiera, favorendo il rilancio di un comparto in sofferenza”.