Già nel gennaio 2019, le autorità canadesi per la salute (Health Canada) conclusero che dopo attenta revisione scientifica, le preoccupazioni sulla sicurezza del glifosate non possano essere supportate scientificamente quando si considerino tutti dati pertinenti. In sostanza, se si analizza bene tutto lo scibile esistente su glifosate, non si può sostenere che l'erbicida sia potenzialmente cancerogeno.
Health Canada ha anche assicurato come i venti scienziati incaricati di condurre la revisione, selezionati al di fuori del pool scientifico coinvolto nel 2017 nel processo di rivalutazione di glifosate, non abbiano lasciato nulla di intentato, avendo per giunta accesso a tutti i dati e alle informazioni rilevanti fornite dai governi federali e locali, agenzie internazionali di regolamentazione, rapporti scientifici pubblicati nonché dai produttori di agrofarmaci.
Nel gennaio 2020 un altro parere scientifico autorevole piomba dall'Epa sui complottisti anti-glifosate che impazzano ormai da anni su media e web. Testualmente, l'agenzia americana conclude nel suo Interim registration review decision.
"The agency concluded that there are no dietary risks of concern for any segment of the population, even with the most conservative assumptions applied in its assessments (e.g., tolerance-level residues, direct application to water, and 100% crop treated). The agency also concluded that there are no residential, non-occupational bystander, aggregate, or occupational risks of concern".
Tradotto in italiano, "L'agenzia ha concluso che non vi sono motivi di preoccupazione quanto a rischi di tipo alimentare per alcun segmento della popolazione, neanche seguendo le ipotesi più prudenziali applicate nelle valutazioni (es. residui al massimo livello di tollerabilità, applicazione diretta all'acqua e trattamenti sul 100% delle colture). L'agenzia ha inoltre concluso che non sussistono rischi né di tipo residenziale, né di tipo professionale, né per gli astanti non-occupazionali".
In sostanza, l'Epa ha confermato quanto espresso su glifosate all'inizio del 2020, quando insieme al U.S. department of justice, e a nome del governo degli Stati Uniti, aveva presentato un "amicus brief" nell’appello Hardeman. In questo brief entrambe le autorità supportarono le argomentazioni a favore della molecola.
Ancor prima, nell'agosto 2019, l'Epa aveva inviato una lettera a tutti i titolari delle registrazioni a base di glifosate, ribadendo come procurare allarme sul potenziale cancerogeno dei prodotti contenenti questa sostanza attiva sarebbe stato "in contraddizione con la valutazione scientifica dell'agenzia circa la potenziale cancerogenicità del prodotto" e sarebbe stata quindi una "dichiarazione falsa e fuorviante".
Procurare allarme diffondendo notizie false e fuorvianti: praticamente l'occupazione preferita di molte, troppe testate giornalistiche più o meno blasonate, come pure di trasmissioni televisive sedicenti di inchiesta che più che dare la caccia a veri lestofanti sembra diano la caccia a ben più agevoli share e stipendi.
Non a caso, nessuno dei media generalisti che campano di allarmismo ha dato la notizia dell'arresto per tentata estorsione di uno degli avvocati della causa Johnson-Monsanto, né del mostruoso conflitto di interessi di Christopher Portier, contemporaneamente presidente del gruppo Iarc che valutò glifosate e consulente degli studi legali che per primi mossero causa a Monsanto.
Neppure ha trovato spazio nei mezzi di comunicazione il misterioso insabbiamento delle ricerche epidemiologiche del National cancer institute che dimostravano la non cancerogenicità di glifosate.
Oggi, a dispetto dei crociati della disinformazione, l'Epa ha riaffermato come nella sua Interim registration review decision abbia utilizzato le più recenti policy e metodologie scientifiche per preparare una valutazione del rischio a sostegno della revisione per la registrazione del glifosate. L'Epa ha cioè valutato attentamente i rischi per l'uomo derivanti dall'esposizione al glifosate in tutti gli utilizzi registrati e per tutte le vie di esposizione senza identificare alcun rischio.
Si mediti su ciò quando verranno ancora strumentalizzate le inaccettabili condanne comminate a Monsanto, oggi Bayer, soprattutto per non aver scritto sulle proprie confezioni che quei prodotti potrebbero causare il cancro. A decidere per siffatta scritta in etichetta dovrebbe essere infatti l'Epa, la quale ribadisce invece oggi - e per l'ennesima volta - che glifosate non è cancerogeno e quindi, implicitamente, che quella scritta sulle etichette non avrebbe proprio alcun senso. In un mondo razionale ciò dovrebbe bastare a far cadere tutte le accuse. In un mondo ostaggio della disinformazione e dell'allarmismo chemofobico, invece no: il linciaggio procede imperterrito, senza che alcuno paia intenzionato a fermarlo.
E i danni sono ormai stati fatti. Non solo in Italia, con l'ondata di fake news sul grano canadese, ma anche in America, con la Kellogg's che annuncia di voler abbandonare i cereali trattati con glifosate entro il 2025. Una scelta di marketing indotta proprio dal mare di fango sparso su questo erbicida e che oggi, assurdamente, diviene ulteriore conferma di essere nel giusto agli occhi di chi abbia creduto pedissequamente alla disinformazione mediatica diffusasi, questa sì come un cancro, per media e social. Il tutto, a dispetto di quanto espresso nel Testo unico dei doveri del giornalista, al cui ripasso si invitano tutti coloro i quali, al contrario, pare abbiano bellamente dimenticato cosa significhi il lavoro di giornalista.