Il Ventunesimo secolo è stato ribattezzato da alcuni l'era dei droni, intesi come automi in grado di svolgere autonomamente operazioni complesse in scenari non standard. E anche in campo agricolo i velivoli senza pilota sembrano avere un futuro brillante.

I droni affascinano gli agricoltori, che immaginano macchine volanti che sorvegliano i campi dall'alto. Ma piacciono anche ai ricercatori, perché permettono di portare sopra le colture diversi strumenti di lavoro. Dopo un boom di investimenti nel settore che ha raggiunto il suo apice nel 2015, la drone-bolla si è raffreddata e ora le aziende agricole aspettano che le imprese forniscano soluzioni più pragmatiche, chiavi in mano, facili da utilizzare e soprattutto economicamente sostenibili.

Al tema dei droni in agricoltura la Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, ha dedicato una pubblicazione in cui analizza storia e utilizzi dei velivoli senza pilota. Accanto a soluzioni futuristiche è interessante il caso del Giappone, che ormai da venticinque anni impiega i droni per il trattamento dei campi di riso.
 

Il riso coltivato dai droni

Oggi circa 2.800 droni sono registrati per l'uso in agricoltura in Giappone. Non si tratta dei classici quadricotteri a cui siamo abituati, ma di veri e propri elicotteri in miniatura, come i modelli Rmax o Fazer sviluppati da Yamaha. Questo perché per trasportare in cielo 15-20 litri di prodotto da irrorare la potenza sviluppata dal motore deve essere elevata e quindi i piccoli velivoli non sono appropriati.

Questi droni, comandati a distanza da piloti esperti, riescono a trattare un ettaro di riso in dieci minuti, contro i 160 necessari con attrezzature tradizionali, come le irroratrici a barra trainate o semoventi (dati di Yamaha). D'altronde se il 42% della Sau nipponica destinata a riso (pari a oltre un milione di ettari) viene gestita con i droni significa che l'efficacia e la sostenibilità economica sono soddisfacenti per gli agricoltori.
 

I primi prototipi di elicotteri a pilotaggio remoto erano piuttosto rudimentali, anche perché sul finire del secolo scorso molta tecnologia era ancora in fase embrionale. Basti pensare che i sistemi di posizionamento satellitare nascevano in quegli anni e che i giroscopi e gli accelerometri che oggi sono presenti in ogni smartphone all'epoca erano ingombranti e costosi.

Oggi ci sono 11mila piloti certificati in Giappone e il paese esporta know-how anche in altri Stati e su altre colture. I droni sono ad esempio impiegati in Australia e in Corea, su colture come l'orzo, il frumento, la soia e differenti orticole.
 

Una questione normativa

L'Italia, il primo produttore di riso in Europa, potrebbe dunque avvantaggiarsi delle tecnologie sviluppate negli utili decenni in Giappone. Sfortunatamente la regolamentazione di settore vieta l'applicazione di agrofarmaci con velivoli, siano essi droni o aerei. È una normativa approvata prima della drone-rivoluzione che tutti gli operatori del settore auspicano che venga modificata.

Anche perché la ratio dietro a questo divieto era scongiurare l'ingente deriva che un elicottero potrebbe causare se irrorasse una coltura. Ma gli accorgimenti tecnologici sviluppati in Giappone hanno dimostrato che il problema non sussiste se questi velivoli senza pilota vengono utilizzati da personale qualificato.
 

Certo, anche le aziende dell'agrochimica si devono attivare (e in molte lo stanno facendo) per mettere a punto agrofarmaci che siano irrorabili con i droni. Questo significa volumi ultra-bassi (per limitare il carico da portare in volo) e additivi che riducano al minimo la deriva.

Anche la Fao, nel suo report, sottolinea come una normativa troppo stringente, approvata dietro il timore di lasciare un settore completamente non regolato, è la principale causa del rallentamento dello sviluppo di nuovi servizi per l'agricoltura. Per fortuna in Italia qualcosa si muove e il legislatore sta mettendo mano ai regolamenti di settore per non asfissiare un mercato nascente.

Un mercato che vale 32,4 miliardi di dollari a livello globale. I droni sono infatti utilizzati non solo per il trattamento delle colture, ma anche per il monitoraggio delle stesse. Uno strumento che abilita dunque l'impiego di tecnologie di agricoltura di precisione. Ma è impiegato anche a livello assicurativo, per valutare i danni provocati dal maltempo alle colture. E in Australia i droni, dotati di camere termiche, sono impiegati per sorvegliare i bovini lasciati pascolare allo stato brado.
 

Gli sviluppi futuri

Il drone non deve essere dunque inteso come uno strumento a sé stante, ma come un 'trattore dei cieli' in grado di svolgere svariate attività: dal portare in cielo camere per il monitoraggio dei campi o delle mandrie fino all'applicazione di prodotti fitosanitari.

Una mappa Ndvi generata da un drone
Una mappa Ndvi generata da un drone

L'agricoltore dovrebbe diventare auspicabilmente in grado di pilotarli e in futuro avrà a disposizione delle piattaforme digitali che lo assisteranno nel prendere le decisioni su trattamenti e piani di volo. Ma qui entriamo in un futuro ancora lontano.

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