Come salvare l'agricoltura dall'avanzata delle città, che si sviluppano in sempre più ampie e disordinate periferie che cementificano e asfaltano suoli agrari a gogo, per di più con l'effetto di svuotare i centri storici?

 

Di sicuro servono città più concentrate su se stesse, in grado di rigenerare le aree industriali dismesse e periferie esistenti, ma non basta: occorre rendere gli agricoltori più forti, con una Pac più sostanziosa e sempre più attenta all'ambiente. E con le aziende agricole che andrebbero compensate a parte per i servizi ecosistemici che producono per il sol fatto di mantenere i suoli permeabili e stabili, garantendo non solo sovranità alimentare, ma anche percolazione di acqua in falda e quel presidio del territorio che è necessario a contenere il dissesto idrogeologico.

 

Con un'emergenza da fronteggiare in più: il proliferare spesso incontrollato degli impianti fotovoltaici a terra in aree agricole, che consumano suolo, seppur in maniera reversibile, ma per molti anni.

 

È questo il messaggio lanciato il 24 ottobre scorso a Roma dalla presentazione dei dati del Rapporto Sistema Nazionale Protezione Ambiente "Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici", che fotografa l'evoluzione di un fenomeno capace di incidere sulla qualità della vita, sull'ambiente e sugli ecosistemi. Il documento non si limita a registrare le criticità: emergono anche esperienze di rigenerazione e rinaturalizzazione che mostrano come invertire la rotta sia possibile.

 

Ad accompagnare il Rapporto c'è l'Eco Atlante di Ispra: mappe interattive e scaricabili che consentono di osservare le trasformazioni del territorio e personalizzare le informazioni in base alle esigenze. E la presentazione di questi dati e di queste proposte coincide quasi magicamente con i ripetuti appelli verso le istituzioni europee, invitate dai sindacati agricoli a non tagliare la Pac post 2027, come invece previsto dalla proposta della Commissione Ue.

 

Nel 2024 persi altri 78 chilometri quadrati

I dati sono stati presentati da Stefano La Porta, presidente Ispra, Maria Siclari, direttore generale Ispra, e da Michele Munafò, curatore del Rapporto Ispra. E non lasciano adito a dubbi sulla loro gravità. Il territorio italiano cambia ancora: nel 2024 sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all'anno precedente.

 

Con oltre 78 chilometri quadrati di consumo di suolo netto - ben 7.800 ettari, come 390 aziende agricole di taglia media - si tratta del valore più alto dell'ultimo decennio. A fronte di poco più di 5 chilometri quadrati restituiti alla natura, il quadro resta sbilanciato.

 

Il ripristino del suolo in Italia

Con la parola ripristino si intendono quelle aree in cui il suolo da una condizione artificializzata torna ad una naturalizzata, spesso dovuta alla rimozione delle aree di cantiere. Tale processo, lento a prendere piede nel nostro Paese, nel 2024 interessa una superficie complessiva di 5,2 chilometri quadrati, in calo rispetto agli 8,2 chilometri quadrati del 2023.

 

Un caso particolare è quello dell'Emilia Romagna, che ripristina durante lo scorso anno 143 ettari di suolo, grazie soprattutto alla rinaturalizzazione di cave dismesse e alla chiusura di cantieri legati alla realizzazione di metanodotti e di altre opere.

 

La necessità di intervenire sul ripristino del suolo trova oggi un ulteriore riconoscimento: oltre al recente Regolamento sul Ripristino della Natura, il Parlamento Europeo ha approvato il 23 ottobre 2025 la prima Direttiva sul Suolo, che definisce un quadro comune per monitorarne la salute e contrastarne il degrado. L'obiettivo è raggiungere suoli sani in tutta Europa e ridurne il consumo. Il sistema di monitoraggio Snpa, già in linea con le nuove disposizioni europee, è stato uno dei principali punti di riferimento nella definizione della Direttiva.

 

Il consumo di suolo regionale

Al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%). Il maggiore consumo di suolo annuale si osserva in Emilia Romagna, che, con poco più di 1.000 ettari consumati (86% di tipo reversibile), è la regione con i valori più alti sia per le perdite sia per gli interventi di recupero, in Lombardia (834 ettari), Puglia (818 ettari), Sicilia (799 ettari) e Lazio (785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell'ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l'Emilia-Romagna si ferma al +0,50%.

 

Anche La Valle d'Aosta, che resta la regione con il consumo inferiore, aggiunge comunque più di 10 ettari di nuovo consumo. La Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) sono le uniche regioni, insieme alla Valle d'Aosta, con un consumo al di sotto di 50 ettari.

 

Aree a rischio dissesto, coste e aree protette

Confermata, anche per l'anno preso in considerazione, la tendenza al rialzo della superficie di suolo consumato nelle aree a rischio dissesto dove il fenomeno, dopo il rallentamento registrato nel 2023, torna a correre: +1.303 ettari nelle zone a pericolosità idraulica media e +600 ettari nelle zone a pericolosità da frana.

 

Prosegue l'impermeabilizzazione lungo le fasce costiere, dove la percentuale di suolo consumato nei primi 300 metri dal mare è più del triplo del resto del territorio nazionale (22,9%), nelle pianure (11,4%), nei fondi valle e nelle aree a vocazione agricola vicino a quelle urbane. Diminuisce ancora la disponibilità di verde in città: il 2024 registra una perdita ulteriore di oltre 3.750 ettari di aree naturali.

 

In crescita il consumo di suolo nelle aree protette nelle quali si ricoprono altri 81 ettari dei quali oltre il 73% riguarda i parchi naturali nazionali (28,7 ettari) e regionali (30,8 ettari). Nelle aree Natura 2000, infine, le nuove superfici artificiali ammontano a 192,6 ettari (+14% rispetto allo scorso anno).

 

Fotovoltaico a terra

Nel 2024 il consumo di suolo dovuto ai nuovi pannelli fotovoltaici risulta quadruplicato: si passa dai 420 ettari del 2023 a oltre 1.700 ettari del 2024  di suolo ricoperto, un aumento notevole se si considerano i 75 ettari e i 263 rilevati rispettivamente nel 2021 e nel 2022. E l'80% delle superfici coperte da fotovoltaico precedentemente erano utilizzate ai fini agricoli). Tra le regioni che destinano più territorio a questo tipo di impianti spiccano Lazio (443 ettari), Sardegna (293 ettari) e Sicilia (272 ettari).

 

Passa, infine, dai 254 ettari del 2023 ai 132 ettari del 2024 la superficie destinata agli impianti fotovoltaici a terra come l'agrivoltaico che, limitando l'impatto sul suolo, non vengono considerati tra le cause di consumo.

 

Logistica e sviluppo dei data center

Anche su questo fronte non si registrano diminuzioni: dal 2006 a oggi, le coperture artificiali riconducibili alla logistica raggiungono un totale di poco superiore ai 6mila ettari. Un fenomeno che risulta in aumento soprattutto in Emilia Romagna (+107 ettari), Piemonte (+74 ettari) e Lombardia (+69 ettari).

 

Negli ultimi anni, al progressivo consumo di suolo dovuto alla logistica si è affiancata una nuova dinamica territoriale dovuta all'espansione dei data center, alimentata dalla crescente esigenza di infrastrutture digitali e servizi cloud. Tale sviluppo ha comportato, nel solo anno 2024 e considerando gli interventi più significativi, l'occupazione di oltre 37 ettari di superficie, con una concentrazione prevalente nelle aree settentrionali del Paese. Ma a fronte di tutti questi numeri, una domanda sorge spontanea: quale è il settore più colpito dal consumo di suolo?

 

Ismea, il 75% del suolo perso è agricolo

Camillo Zaccarini dell'area gestione del rischio di Ismea - intervenuto alla presentazione dei dati, forte del contributo dell'Istituto al Rapporto - taglia corto: "Il suolo netto consumato nel 2024 è uguale a 7.800 ettari, ma più di tre quarti del consumo - pari a 6.021,20 ettari - è in area rurale. In questo 77% di suolo consumato in aree agricole, il 40,22% è rappresentato da seminativi, il 31,41% da prati pascoli, il 19,08% da colture arboree permanenti, e il 5,7% è territorio agroforestale".

 

Questi terreni - secondo le stime Ismea - valgono 120 milioni di euro e scompaiono nel solo frattempo tra 2023 e 2024, comportando una perdita di Plv, Produzione Lorda Vendibile pari a quasi 16,2 milioni di euro. Sono situati per quasi l'85% delle superfici in aree non classificate zone interne, quindi soffrono l'avvicinarsi delle città di pianura.

 

E non consola che su oltre seimila ettari ben 5.195,03 siano considerati a copertura reversibile. Questo perché su ben 1.360,07 ettari insistono nuovi impianti fotovoltaici a terra, che sottraggono il terreno alla coltivazione per molti anni. Altri 3.246,46 ettari sono classificati come cantieri o altre aree in terra battuta: e dove c'è un cantiere è in arrivo - almeno su parte di esso - una colata di cemento o un nastro di asfalto; queste aree vengono poi rigenerate parzialmente, quando possibile, con estrema lentezza e difficilmente tornano ad una destinazione agricola.

 

Altra nota: il valore del patrimonio e il valore della produzione agricola persa sono relativamente bassi. Questo perché i terreni a più elevato valore fondiario e redditività sono quelli destinati alla coltivazione degli ortaggi, che quasi non figurano tra i terreni consumati.

 

Tipologie colturali maggiormente colpite dal consumo di suolo nel 2024 - Ismea

(Fonte: Ismea in Rapporto Snpa, dati riferiti al suolo consumato nel 2024)

 

"Ma così viene meno un pezzo di sicurezza e sovranità alimentare, dato che il terreno è fattore di produzione primario per il settore agricolo" rincara la dose Zaccarini.

Il tutto avviene in un Paese - l'Italia - prima in Europa per valore aggiunto agricolo con 43 miliardi in un anno, e con una filiera agroalimentare che totalizza il 15% del Pil: "In tale contesto questa continua e costante erosione del suolo vale molto - sottolinea Zaccarini - non a caso il ministro Francesco Lollobrigida sta sostenendo una battaglia politica a livello europeo contro il taglio della Pac post 2027 del 20%, come richiesto della Commissione Ue. La resistenza a questo taglio parte dagli agricoltori, ma non è un mero fattore di resistenza sindacale, il taglio della Pac - ove avvenisse - sarebbe un problema di noi tutti cittadini: meno Pac, meno agricoltura, più consumo di suolo più rischi associati a questa dinamica".

 

I dati aggiornati del consumo di suolo in Italia evidenziano la necessità di incentivare il passaggio dalla logica dell'espansione su aree naturali alla logica della rigenerazione, della riqualificazione e del riutilizzo delle aree costruite esistenti, dando la priorità assoluta al riuso e al recupero delle aree già edificate e urbanizzate, a partire da quelle dismesse o degradate. Ma in tutta evidenza tanto non basta a fermare il fenomeno. Perché una delle esche più attraenti per i consumatori di suolo è la difficoltà delle imprese agricole a restare sul mercato, e non è l'analisi di un sindacato agricolo.

 

L'urbanista, difendere l'agricoltura con la solidarietà

Salvador Rueda è il presidente della Fondazione di Ecologia Urbana e Territoriale di Barcellona, dove sono in atto importanti trasformazioni urbanistiche nel segno della sostenibilità e della riduzione del consumo di suolo. Durante la sua lectio magistralis alla presentazione dei dati Snpa-Ispra, vede nella debolezza del settore agricolo uno dei fattori scatenanti del consumo di suolo.

 

Per invertire il modello di sviluppo che consuma suolo, non bastano - secondo Rueda - città più inclusive, dove la popolazione non ripartisce le diverse classi sociali in quartieri differenti, centri urbani con più aree comuni e meno esigenze di spostamento, città più compatte e dedite alla rigenerazione degli spazi già utilizzati, con il recupero di aree industriali e abitative degradate.

 

Serve un secondo pilastro: un'agricoltura più forte. "La campagna deve moltiplicare la biodiversità e si devono cercare i modi per trattenere i giovani in campagna. Per il momento è difficile fare questo, perché la sostenibilità economica non viene dal mercato" sottolinea il professor Rueda.

 

"Questo è il nostro problema - aggiunge - e le uniche soluzioni possibili sono quelle di solidarietà tra chi vive in città e chi lavora in campagna. Inoltre, le aree rurali devono avere compensazioni di natura ecosistemica che devono arrivare agli agricoltori. Il mercato tende a non distribuire in maniera equa il reddito tra agricoltore e gli altri attori della filiera. L'elemento di compensazione deve arrivare da chi è ai vertici amministrativi e politici dei territori".

 

E ancora: "L'agricoltura deve essere rigenerativa e deve puntare a mantenere la biodiversità". Non lo dice espressamente Rueda, ma per fermare l'avanzata di una urbanizzazione selvaggia, serve una Pac più forte di quella che abbiamo oggi, che in tutta evidenza non è sufficiente a fermare l'abbandono delle campagne in favore dell'avanzata di una urbanizzazione selvaggia, soprattutto lì dove i redditi agrari e il valore fondiario sono più bassi, come mette in evidenza il quasi nullo peso delle coltivazioni ortive nel consumo di suolo, mentre non sorprende il peso di altre filiere, a cominciare da quella frutticola, vista la diminuzione dei frutteti in Italia negli ultimi anni.

 

Energie rinnovabili, dove metterle?

L'intervento di Stefano Masini, coordinatore delle Attività dell'Area Ambiente e Territorio di Coldiretti, punta tutto sull'emergenza del momento, l'occupazione dei suoli agricoli da parte delle energie rinnovabili: "Abbiamo perso la capacità di esplorare il nostro Paese e di capire le offese che subisce. Le fonti di energie rinnovabili aggrediscono il territorio. Si potrebbe osservare che si è contro le energie rinnovabili, ma non è così. L'agricoltura ha dato una risposta positiva all'agrivoltaico e al fotovoltaico a terra sul già costruito. Chi si occupa di agricoltura vuole occuparsi di energia rinnovabile. Ma il dato che preoccupa è la proiezione al 2030 dell'installazione di 131 gigawatt da rinnovabili, 74 dei quali con il fotovoltaico, previsti dal Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima".

 

Masini infine spiega: "Si realizzerà una ulteriore occupazione di suoli, se non si assumono provvedimenti per intensificare i controlli. Per 74 gigawatt occorrono 102mila ettari in più di suolo. Ma le domande fatte a Terna assommano già a 150mila gigawatt e saliremmo ancora di più. Se tali investimenti fossero attuati su suoli agricoli aumenterebbe l'insicurezza alimentare oltre che il rischio idrogeologico. Secondo le domande di allaccio per nuovi impianti fotovoltaici presentate a Terna si arriva a 170mila ettari da occupare con energie rinnovabili, a fronte di oltre un milione di ettari per la produzione di grano duro: si rischia, sulla proiezione di Terna, di perdere o un decimo del frumento duro o addirittura la metà del grano tenero".

 

E qui la Pac più forte potrebbe non bastare, servono controlli sulle normative esistenti, che condizionano l'utilizzo del fotovoltaico sui terreni agricoli a quello agrivoltaico: alto abbastanza sui terreni da consentirne un reale utilizzo agronomico.