Produrre di più o produrre meglio? Agricoltura convenzionale o biologico? Grandi estensioni o piccoli appezzamenti? Innovazione digitale e intelligenza artificiale o sapere dell'agricoltore? Il dialogo che solo una manciata di giorni fa AgroNotizie® pubblicava fra l'agricoltore sardo Ettore Boi e il direttore responsabile di AgroNotizie® e ceo di Image Line® Ivano Valmori, è innanzitutto un esempio di dialogo costruttivo.
Vi sono domande, tesi, preoccupazioni, volontà di interpretare l'agricoltura odierna e di dare un futuro ai giovani in agricoltura. E vi sono risposte, che non sono scritte sulla pietra, non vogliono avere l'immutabilità della legge di Dio, ma sono altrettanti contributi alla riflessione, sono inviti a cogliere le sfide del progresso, senza tuttavia restarne vittima.
È un po' il dibattito che stiamo osservando in questi mesi sull'intelligenza artificiale. Guai a delegare integralmente a un'entità in grado di apprendere a velocità sovrumane senza vigilare o impostare parametri che siano etici. Allo stesso modo, guai a non interpretare dati, analisi, risposte che l'intelligenza artificiale può o potrebbe in futuro dare.
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All'inizio di questo mio ragionamento ho voluto porre domande in apparenza fra loro antitetiche. Sono domande, appunto. Non ho risposte. Se non quella che, leggendo con molta attenzione lo scambio di battute fra Ettore Boi (imprenditore agricolo) e Ivano Valmori (imprenditore PER il settore agricolo), mi sembrano chiari alcuni elementi che provo, in ordine sparso, ad elencare qui sotto.
Produrre di più e produrre meglio
Non esiste una sola agricoltura a livello mondiale o a livello europeo. Questo in parte lo ha capito anche l'Unione Europea, che nella programmazione della Pac 2023-2027 aveva assicurato maggiore potere discrezionale ai singoli Stati membri, consapevole appunto che dalla Svezia al Portogallo, dal Belgio alla Bulgaria, ma anche dalle Alpi a Lampedusa, non sia possibile applicare misure univoche per la crescita dell'agricoltura e il sostegno delle imprese agricole.
L'Unione Europea è il più importante esportatore di prodotti agroalimentari a livello mondiale. Deve continuare a farlo, garantendo salubrità delle produzioni, migliorando la produttività in termini quantitativi, di valore aggiunto, di sicurezza alimentare, di processo produttivo.
Il Green Deal? Un fallimento in partenza
Ma se l'Unione Europea è consapevole che vi sono diverse agricolture nel vecchio continente, perché definire una Strategia Farm to Fork così rigida nei suoi obiettivi e così poco incline a favorire la ricerca in laboratorio e applicata in campo? Ecco la conferma netta a una sensazione che avevo da tempo: Green Deal e Farm to Fork, che possono indicare obiettivi - in linea teorica e per alcuni aspetti - sostanzialmente corretti, dovrebbero essere declinati in base a fattori più connessi con le specificità dei luoghi, dei territori, delle vocazioni produttive. È apparsa, invece, una marcia a tappe forzate che aveva dimenticato completamente la cassetta degli attrezzi per raggiungere obiettivi ambiziosi.
Ageing society e innovazione
Nelle parole di Ettore Boi leggo la saggezza di un agricoltore che guarda al futuro, si preoccupa del ricambio generazionale, è consapevole dell'esperienza di chi conosce la terra da decenni e non può affidarsi solamente all'innovazione digitale, all'agricoltura 4.0 o 5.0. Anche in questo caso, nessun conflitto. Saggezza ed esperienza possono e devono convivere con gli strumenti dell'agricoltura di precisione. Lo spiega con grande immediatezza di ragionamento Ivano Valmori, che non per niente fa parte del gruppo di ricerca sull'agricoltura digitale all'Accademia dei Georgofili.
Vi sono dinamiche, indicazioni, segreti, che non si apprendono sui libri, ma si tramandano. Allo stesso tempo, dobbiamo oggi essere consapevoli che possono convivere differenti modelli di agricoltura. Li ho accennati all'inizio: convenzionale e biologico; grandi estensioni e piccoli appezzamenti; potrei aggiungere: agricoltura familiare e realtà agroindustriali; vendita diretta e conferimento alle cooperative o all'agroindustria; agricoltura di montagna e di pianura.
Sono declinazioni diverse dell'agricoltura, non c'è dubbio, ma sono tutte accomunate dalla volontà di migliorare le produzioni e la redditività di chi opera come impresa (sia essa di grandi o piccole dimensioni), dal desiderio di tutelare il suolo e l'ambiente, dalla volontà di realizzare un efficiente passaggio generazionale al momento giusto, di migliorare la propria resilienza di fronte ai cambiamenti climatici. In tutti questi casi (e sottolineo: tutti), affidarsi all'innovazione è un punto di forza, non di debolezza o di delegittimazione.
Ecco che la presenza di giovani, in un cosmo che sta invecchiando a livello globale e che è sempre più espressione di una "ageing society", agevola l'adozione di soluzioni e modelli nuovi. E non parliamo solo di intelligenza artificiale, ma di nuovi approcci per risolvere problemi più o meno nuovi. Servono lenti nuove. Vale per la geopolitica (ne parlava il vicepresidente esecutivo dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Ispi, Paolo Magri, sul Corriere della Sera), ma anche per l'agricoltura.
Contrapporre modelli produttivi o creare frizioni laddove invece dovrebbe regnare l'armonia e dove, magari, possono convivere differenti approcci, serve a poco.
Avanti con ricerca, innovazione e formazione, coinvolgendo nuove generazioni e senior. Con un suggerimento, se possibile: mettiamo al centro l'uomo e l'agricoltura, guardiamo al progresso nella sua accezione più ampia, non creiamo conflitti. Sia benvenuto il progresso, non le contrapposizioni. L'innovazione va bene per qualsiasi scelta di campo e di agricoltura. Dobbiamo favorire la redditività e i commerci internazionali, che rappresentano un veicolo di progresso e di arricchimento culturale, prima ancora che economico.
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