Noi ce lo siamo chiesti, magari come altri babbioni in giro per le recenti manifestazioni fieristiche di Milano dedicate al cibo. E, con grave ritardo, ci siam chiariti, forse.
Ci perdonino però gli eruditi se tentando la vulgata diciamo delle corbellerie. Abbiamo appreso che la blockchain è un sistema che fa funzionare dei registri digitali, inalterabili dopo che un dato vi è stato scritto. La cosa significativa è che questo grande registro è frutto di un lavoro collettivo ed è di proprietà diffusa, quindi si pone come alternativa sicura, economica e magari anche democratica alle banche dati e ai registri gestiti dalle autorità centrali (es.governi) o da enti terzi (es. enti di certificazione, protocollo, banche, assicurazioni etc.).
Le applicazioni nel campo del cibo sono molteplici.
Va da sé che un sistema che assicura la tracciabilità/rintraccabilità può essere utilizzato per garantire l'origine di un prodotto per cui è stato definito un protocollo qualitativo.
I prodotti agricoli italiani sono i più imitati e falsificati del mondo e considerando che oggi il sistema della qualità certificata (Dop, Igp, Doc, Docg, biologico etc) in Italia coinvolge la bellezza di 300mila imprese (dati Ismea), e che la certificazione è un costo per le aziende, si fa presto a fare i conti con la modernità.
In teoria i maggiori beneficiari di questi sistemi democratici e trasparenti dovrebbero essere i produttori e i consumatori. In pratica sappiamo che l'oro del secolo è l'informazione. Per creare i famosi big data che regoleranno, e già in parte regolano, la nostra vita nel nuovo millennio, c'è bisogno di informazioni e i giacimenti di informazioni sono ricercatissimi.
Sarem babbioni ma fin qui ci siamo arrivati.