L'evoluzione alla fine vince sempre. E' questa la grande lezione che Charles Darwin ci ha lasciato ed è il messaggio che Ford Denison, professore all’Università della California Davis, ha lanciato con il suo libro 'Darwinian agricolture' (l'agricoltura darwiniana), presentato al Mantova Food&Schience festival.

L'agricoltura, come ogni altra attività umana, stravolge l'equilibrio della natura. Ma le piante, come gli insetti o i microrganismi, non subiscono passivamente le nostre attività, ma evolvono in relazione ai mutamenti che l'uomo apporta alla natura. Questo è un principio che agricoltori e ricercatori devono sempre tenere bene a mente. Per comprendere la relazione tra uomo e natura Danison racconta la storia di una graminacea, chiamata Barnyard-grass.

Diffusa in natura, circa duemila anni fa ha iniziato a colonizzare le risaie, ambienti creati dall'uomo. Come la maggior parte delle piante, anche la Barnyard-grass muore in caso di parziale sommersione, e così all'inizio si è diffusa nelle aree marginali delle risaie. Poi però ha sviluppato un sistema di resistenza alle acque più profonde come quello del riso: piccoli canali in grado di trasportare l'ossigeno dalla sommità della pianta fino alle radici.

Non si é trattata di una mutazione spontanea verso un obiettivo specifico. Semplicemente una pianta su un miliardo ha subito una mutazione casuale che le ha dato un vantaggio competitivo rispetto alle altre sue simili, dandole la possibilità di colonizzare una nicchia ecologica nuova, la risaria, creata dall'uomo.

Ma anche così la pianta non ha avuto vita facile. Il suo stelo é infatti rosso e per i risicoltori era facile individuarla in un campo ed estirparla. E così Barnyard-grass ha mutato ancora sviluppando uno stelo verde. Anche in questo caso non si è trattato di un atto consapevole. Semplicemente una pianta su un miliardo è nata con lo stelo verde ed ha prosperato nelle risaie non essendo riconoscibile dall'uomo.

Ma l'interazione con l'agricoltura ha selezionato ulteriori tratti in questa malerba. Diffusasi negli Stati Uniti ad inizio del secolo scorso se l'é vista con gli erbicidi, ma nel giro di pochi anni ha sviluppato una resistenza sorprendente ai composti chimici in commercio.

I ricercatori dell'UC Davis hanno fatto un test irrorando con un erbicida piante di Barnyard-grass provenienti da una azienda risicola tradizionale e da una biologica. Nel primo caso le malerbe sono sopravvissute, mentre nel secondo sono morte. Segno che l'utilizzo di erbicidi ha selezionato piante che hanno subito delle mutazioni che le hanno rese resistenti.

Per spiegare quanto l'agricoltura influenzi la natura Denison porta un altro esempio. Per combattere la presenza della diabrotica i maiscoltori americani si sono per anni affidati alla rotazione delle colture. Quando l'insetto sverna nel terreno e a primavera trova al posto del mais la soia perisce non avendo nutrimento. In questo modo l'anno successivo l'agricoltore puó coltivare mais senza il pericolo di una presenza massiccia dell'insetto.

Poi uno di questi parassiti ha subito una mutazione casuale che ha reso la maturazione delle uova biennale (e di fatto si é creata una nuova specie, la Diabrotica barberi). In questo modo, inconsapevolmente, l'insetto ha superato la tecnica della rotazione delle colture usata dall'agricoltore per difendere il suo raccolto, ed ha prosperato.

Il concetto é che quando tra due esseri viventi c'é un legame molto stretto la possibilità che evolvano assieme è molto alta. Per questo bisogna conoscere i principi dell'agricoltura darwiniana in modo da sfruttarla. E' il caso della Xylella.

Alcuni ricercatori hanno avanzato l'ipotesi di inoculare nelle piante malate dei batteri che producendo antibiotici uccidono la Xylella. Secondo Denison però è prevedibile che il batterio evolva per resistere agli antibiotici. Si tratta di una questione di sopravvivenza. Ed è invece improbabile che anche il batterio 'buono' evolva per continuare a uccidere Xylella, semplicemente perché per la sua sopravvivenza non é necessario. Non esiste un legame forte.

Ecco allora che un approccio darwiniano al problema suggerisce di inoculare nelle piante di olivo dei batteri geneticamente modificati perché si cibino solo della sostanza gommosa prodotta da Xylella, la causa per cui le piante muoiono. In questo modo se anche Xylella dovesse mutare i batteri 'buoni' ne seguirebbero l'evoluzione proprio in virtù di quel legame stretto che i ricercatori hanno instaurato.