Venghino venghino, sior siori! Più gente c’è, più bestie si vedono!”. Questo si narra fosse, più o meno, l’invito ai passanti urlato nel megafono da Phineas Taylor Barnum, socio dell’omonimo circo.
Un abile imbonitore che attirava clienti promettendo ogni tipo di acrobazie, di mostri e di spettacoli. C’era la donna barbuta, il gigante forzuto, l’uomo cannone, da non confondersi quest'ultimo con alcuni cantanti jamaicani di Reggae.
Oggi la gente al circo ci va ormai ben poco, preferendo altre forme di intrattenimento. I personaggi che attraevano gli occhi degli spettatori sono cambiati, ma in fondo lo scopo resta sempre quello: fare cassa.
Una volta vendendo biglietti d’ingresso, oggi attraendo investitori pubblicitari trovando modi per tenere alti i propri share televisivi.
 
La televisione è così divenuta un luogo mediatico ove il colpo grosso, la notizia che fa sobbalzare, conta più del contenuto stesso. Sono anche proliferate trasmissioni ibride, di inchiesta e di intrattenimento, con i pregi di entrambi e, soprattutto, i difetti di entrambi.
 
Nell’ultima puntata de “Le Iene”, trasmissione Mediaset di Italia 1, si parla ancora di ortofrutta. Già il 26 novembre 2014 i Nero-vestiti avevano scoperchiato un giro di agricoltori-bancarellisti che promettevano cibi bio e a KmZero, salvo poi acquistare le merci al locale mercato ortofrutticolo. Ora mele, arance, zucchine e banane sono ancora al centro di un’inchiesta, ma questa volta focalizzata sui residui di "pesticidi". Il titolo è già di per sé un programma: “Quando frutta e verdura possono fare male”.
Ancora le bancarelle al centro dell’attenzione, questa volta dei mercatini. Vengono acquistati campioni di frutta, quasi tutta tropicale, avviandoli poi ad analisi di laboratorio per evidenziare residui. Ovviamente, su banane, avocados e ananas vengono rilevate tracce intorno ai 2 mg/Kg di sostanze attive che in Europa non vengono più utilizzate, come per esempio carbaryl e acephate.

La spiegazione del perché all’estero le usino ancora è per lo meno bizzarra: secondo Le Iene, dato che li abbiamo proibiti qui in Europa, quei prodotti le multinazionali sono andate a produrli e venderli all’estero, cosicché l’ortofrutta straniera arriva in Italia comunque con delle tracce di sostanze ormai proibite. In realtà, in ampie porzioni del resto del Pianeta si è semplicemente andati avanti a usare quei prodotti come già fatto per decenni, in barba a quello che era stato deciso dagli Europei.
Le multinazionali hanno quindi semplicemente continuato a fare quello che avevano sempre fatto: produrre e vendere. Perché fuori dall'Europa c'è sempre stato tutto un Mondo intorno.

Qualche perplessità la generano anche gli intervenuti in qualità di esperti: un agronomo cita tumori ai tessuti molli e agli organi interni, come se avesse sotto gli occhi statistiche epidemiologiche supportate da solide correlazioni causa-effetto fra cancri nella popolazione umana e “pesticidi” usati in agricoltura. Una nutrizionista affibbia invece a certi diserbanti l’induzione dell’autismo, come non bastassero gli antivaccinisti. Ovviamente, la nutrizionista parla di erbicidi-autismo senza citare una fonte, come se la cosa fosse ormai appurata in modo inequivocabile. Cosa che in realtà non è.
Infine l’analista del laboratorio, il quale si avventura anch'egli in discorsi oncologici affermando che quei residui, essendo sostanze tossiche, possono causare il cancro. Il tutto viene affermato, ancora, come se questi effetti sulla popolazione fossero stati accertati in modo incontrovertibile e accettati dall’intera comunità scientifica internazionale.
 
Che le molecole usate in agricoltura non siano mammolette non ci piove: sono state inventate per uccidere malerbe, insetti e patogeni fungini perché non si mangiassero loro il cibo che serviva a noi. E la fame, è bene ricordarlo, ha storicamente provocato centinaia di milioni di morti. Questi si incontrovertibili e accertati.
 
In base a cosa si afferma quindi che sostanze come acephate o carbaryl sono cancerogene? Probabilmente, si pensa a qualche test di laboratorio effettuato a dosi lontane anni luce da quelle del Mondo reale, come per esempio accaduto con molti degli agrofarmaci accusati in passato di essere cancerogeni. Peccato che delle abissali differenze fra quanto accade in laboratorio e i livelli di esposizione per i consumatori non si faccia mai la benché minima menzione.
Per esempio, sul carbaryl già nel 1984 venne pubblicato un documento dell'Oms, di circa 300 pagine, in cui si affermava che i dati disponibili sulla cancerogenesi non consentivano una valutazione esaustiva.
La cosa non stupisce, visto che la LD50 del carbaryl per i ratti sarebbe di 250 mg/kg, facendo quindi alzare le sopracciglia davanti agli effetti aberranti indotti su cromosomi di fibroblasti umani quando esposti a concentrazioni dai 40 agli 80 g/L (grammi!), ovvero da due a quattro cucchiai da cucina. In qualche libro degli Anni 80 vengono anche citati effetti teratogeni, ma non si dice a che livelli di esposizione essi siano stati osservati. Peraltro, a 16 mg/kg i ratti non avrebbero mostrato alcuna traccia di cancerogenesi. E nessuno, tranne gli insetti parassiti, è mai stato lontanamente esposto a tali dosi di prodotto. Quindi, anche mangiando un chilo di ananas con residui di carbaryl di 2 mg/kg un uomo di 70 chili introdurrebbe una dose pari a 0,028 milligrammi per chilo di peso corporeo, circa 580 volte al di sotto della concentrazione di 16 mg/kg risultata innocua in laboratorio. Per giunta, per simulare una situazione analoga a quella creata nei ratti, un chilo di ananas al dì questo ipotetico consumatore di 70 chili lo dovrebbe mangiare tutti i giorni per molti, molti mesi. E, non so voi, ma io l'ananas lo mangio si e no tre volte l'anno e a un chilo di questo frutto penso di non arrivarci neanche su base triennale.

Che la presenza di carbaryl sulla frutta esotica possa indispettire è comprensibile, ma da qui a tirare subito in ballo la premiata ditta “cancri & tumori” il buon senso suggerisce dovrebbe correrci un fiume. Non vi è quindi da stupirsi se poi i telespettatori guardino terrorizzati ai loro cibi: potrebbero essere perfino cancerogeni e loro non lo sanno.
Forse  aiuterebbe a chiarirsi le idee una settimana di digiuno, o meglio, un viaggio nel tempo all'epoca della peronospora delle patate, verso la metà del 1800, quando una sola patologia, su una sola coltura, causò la morte di oltre un milione di persone. Peccato: i "pesticidi" non erano ancora stati inventati... E sarà sempre tardi quando s'inizierà a pensare a quante vite essi hanno salvato, fatto concreto, invece di pensare a quelle, per lo più ipotetiche, che avrebbero spezzato con un malaccio.
 

Finale in bellezza


Dopo aver tirato in ballo cancri e autismo, la puntata si chiude però con un messaggio rassicurante: se l’ortofrutta si compra nei supermercati, grazie ai maggiori controlli, i residui sono zero, come viene mostrato dall'inquadratura di un foglio ove i numeri sono tutti, ma proprio tutti, <0,01 mg/kg. Quindi, se frutta e verdura sono italiane, di stagione e vengono comprate presso la Gdo, tutto ok. State tranquilli, camperete 100 anni. Buffo però, perché chi è del mestiere sa che anche i prodotti delle Gdo dei residui pur li contengono. Pochi, magari. Molto al di sotto dei limiti di Legge, magari.  Forse hanno anche una percentuale più alta della media di campioni con residui zero. Ma se si pesca a caso nei loro banconi, la statistica suggerisce che qualcosa con dei residui lo dovremmo pur trovare. La sfilza di zeri mostrata da quel foglio lascia quindi pensare che Le Iene e quel supermercato abbiano avuto davvero una fortuna super-sfacciata a non inzuccare in un solo, misero, sparuto campione con dei residui >0,01 mg/kg. Miracoli della televisione...
E qui nasce per forza qualche perplessità: se a questo mega-spottone pubblicitario a favore delle grandi catene di distribuzione, si aggiunge la puntata di novembre scorso sugli agricoltori maramaldi, viene da pensare che, come al solito, a fregarsi le mani siano i soliti direttori commerciali dei supermercati e a fare la figura dell'avvelenatrice sia tanto per cambiare l'agricoltura. Del resto, nel 2013 i soli fatturati di una Coop Italia, realtà meramente nazionale, sono stati leggermente superiori a quelli globali di Monsanto, 13 miliardi di euro contro circa 12. Per non parlare di realtà internazionali come Carrefour, Auchan e compagnia briscola, le quali viaggiano su svariate decine di miliardi di euro all'anno: le vendite di Auchan nel 2013 sarebbero state di 38 miliardi di euro, mentre  Carrefour ne ha dichiarati 84,3. Belle cifre, specialmente se comparate a quelle messe a segno dall'intero comparto degli agrofarmaci, il quale a livello globale, nel 2013, si sarebbe fermato a "soli" 52,7 miliardi. Ma di dollari, quando il cambio era circa 1:1,35. In euro si scende perciò a 39 miliardi. Quindi la sola Auchan nel 2013 ha rappresentato circa il 97,4% dell'intero fatturato globale dei mezzi di difesa, mentre Carrefour addirittura li ha più che doppiati.  Sarà magari solo una coincidenza, ma le due grandi catene di distribuzione compaiono anche fra gli sponsor di quel Gilles Séralini che produsse lo studio in cui pareva che gli ogm fossero alimenti super-cancerogeni. Il Bio, del resto, nel medesimo anno di cui sopra si aggirava intorno agli 80 miliardi di dollari a livello globale e ha prospettive di crescere fino a sfiorare i 190 entro il 2019, assicurando crescite a due zeri di vendite e profitti a tutti quelli che saranno capaci di spingere i consumatori a comprare Bio. Perché i "pesticidi cattivoni", lo sanno ormai anche le casalinghe di Voghera, fanno venire il cancro e l'autismo. Per non parlare della forfora, dell'alitosi e di "quel fastidioso prurito intimo"...
Forse, a questo punto, ci si dovrebbe riaggiornare su chi siano le vere lobby che pilotano l'agroalimentare mondiale e le scelte dei consumatori, soprattutto a livello mediatico e psicologico.
 
Si mediti quindi tutti, Agrofarma, singole multinazionali, associazioni di categoria, consorzi di qualità e associazioni di consumatori se non sia il caso di capire che le guerre interne di posizione servono a poco. Perché mentre esse avvengono, là fuori i media danno spazio a messaggi funzionali per lo più a chi il cibo lo vende anziché a chi quel cibo lo produce. E che per produrlo, quel cibo, prende per giunta le usuali quattro castagne secche. E neanche Bio...