Con le sue 167 mila attività agricole – la stragrande maggioranza a gestione familiare – la Croazia sarà il 28mo Paese a entrare nell’Unione europea e ad essere inserita nel sistema della Politica agricola comune (Pac), in via di riforma. Il primo luglio 2013 è una data segnata da termpo sui calendari, eppure molti produttori hanno un’opinione assai vaga sui possibili cambiamenti che la dimensione comunitaria apporterà alle loro vite.

L’ingresso nell’Unione europea tra incertezza e confusione
“Non so”, “difficile dire”, “speriamo vada tutto per il meglio”: queste le risposte più frequenti degli agricoltori croati, interrogati sulle aspettative circa l’entrata del loro Paese nel mercato unico europeo.
Per molti, l’Europa rappresenta soprattutto un’entità vaga e burocratica, e indicano proprio le lungaggini amministrative come motivo per il quale si tengono alla larga dai fondi comunitari.
Così Ivan e Marco Kadic, padre e figlio che allevano un’ottantina di maiali a Gundinci, nella parte orientale del Paese, la Slavonia. Nonostante abbiano in programma di allargare l’attività familiare, introducendo la produzione del tradizionale “kulen”, un salume tipico della regione, le risorse a cui intendono fare affidamento sono quelle personali e i prestiti bancari.
Perché non i fondi comunitari? “Troppa burocrazia – risponde sicuro Ivan, che poi prosegue in maniera un po’ confusa – e poi con questo tipo di attività tradizionale possiamo vendere solo in Croazia, credo”.

Concorda la signora Zdjelarevic, proprietaria di 50 ettari di vigneto, una vineria da 250mila litri di vino e un hotel con ristorante a Brodski Stupnik, sempre nella parte orientale del Paese: “Se il mio lavoro è coltivare la vite – sostiene, aggiungendo che il suo lavoro è un’arte, non una scienza – non dovrei passare tempo seduta tra le scartoffie”. Ma anche lei, di queste scartoffie, parla in maniera piuttosto vaga e confusa, più come di un “sentito dire” che non con la consapevolezza di chi ha provato effettivamente a ottenere fondi europei.

..ma chi conosce l’Europa è motivato
Ne è conferma il fatto che, in generale, chi ha una visione più ottimista e più aperta è proprio chi ha già avuto delle esperienze legate ai finanziamenti provenienti da Bruxelles e magari proprio grazie a questi ha potuto avviare, ingrandire o ammodernare la propria attività.
Decisamente pragmatico Marijan Kadic, un intraprendente trentenne che con la moglie Blaja, ventiseienne, ha avviato un allevamento di pollame, con 30mila polli per ciclo produttivo.
“Se vogliamo i fondi europei – argomenta Marijan – dobbiamo accettare le regole imposte dall’Unione europea”. Oltre la metà dell’investimento iniziale per la sua attività, pari a mezzo milione di euro, è stato sostenuto con i fondi europei Ipard, senza i quali – ammette – l’attività non avrebbe potuto vedere la luce.

Così anche la famiglia Kosi, che nel nord del Paese, a Totovec, possiede 60 ettari di terra coltivata a verdura, principalmente carote, sedano, broccoli e cavolfiori. Sempre grazie ai fondi Ipard, la famiglia ha ammodernato gli stabilimenti, dotandoli di macchinari per la pulizia e il confezionamento delle verdure, di modo da poterli vendere ai supermercati già pronti per la vendita al dettaglio. Paura della burocrazia legati ai fondi? “L’unica paura – dice il capofamiglia – è non ottenerli più!”. Ha appena presentato richiesta per la terza volta, dopo due tentativi conclusi con successo.

L’inserimento nel sistema della Pac
C’è poi il risvolto dei pagamenti diretti. Già a partire da quest’anno, la Croazia sarà via via inserita nello schema di aiuti al reddito degli agricoltori, con un periodo di dieci anni d’introduzione graduale prima dell’entrata a regime definitiva, così com’è stato per tutti gli Stati membri nuovi. Eppure, per i produttori croati, non si tratterà di una novità, poiché il Paese ha introdotto simili sussidi al reddito nel proprio sistema nazionale già nel 1998: in questo modo ha giocato un ruolo forte nel corso della negoziazione con gli altri partner europei, ottenendo una dotazione finale di 373 milioni di euro all’anno.
C’è quindi il grosso rischio che gli aiuti diretti non verranno percepiti dai produttori come un sostegno comunitario, bensì come la semplice sostituzione dell’aiuto nazionale con quello europeo. Anche perché per ogni beneficiario il contributo dovrebbe essere leggermente inferiore (o al massimo pari) a quello percepito attualmente.