Bastano poche cifre per comprendere quanto sia profonda la crisi della produzione di carne bovina in Italia.

Dieci anni fa si contavano più di 175mila allevamenti, dove erano presenti quasi sei milioni di bovini.

Oggi, come confermano i dati dell'Anagrafe Zootecnica, gli allevamenti sono poco più di 80mila e il numero di bovini allevati si ferma poco oltre i due milioni di animali.

 

In due lustri si è persa oltre la metà delle aziende in produzione, una catastrofe economica e sociale passata sotto silenzio.

Molti i fattori che l'hanno provocata, non ultima una visione distorta delle politiche green europee che hanno usato gli allevamenti come capro espiatorio di una improbabile transizione ecologica.

Oggi si tenta di rimediare, riconoscendo che gli allevamenti non sono il problema, ma parte della soluzione, come ha riconosciuto in questi giorni anche il commissario europeo all'Agricoltura Christophe Hansen.

 

Dipendiamo dall'import

Ormai il danno è fatto e oggi l'Italia ha visto accrescere al 60% la sua dipendenza dalle carni di importazione, un record in negativo.

Recuperare lo spazio perso sarà difficile e occorrerà tempo. Non per questo si può gettare la spugna.

Ben vengano allora le iniziative come quella promossa da Oicb, Organizzazione Interprofessionale della Carne Bovina, che ha chiesto e ottenuto di riaprire il Tavolo Zootecnia Bovina, ottenendo la convocazione delle rappresentanze di settore da parte del Ministero per l'Agricoltura.

Non accadeva dal 2009, a conferma di come si sia rischiato di perdere un settore strategico come quello della carne bovina nell'indifferenza dei più.

Anche questa è una delle conseguenze della frammentazione del mondo agricolo, perennemente restio a compattarsi anche quando c'è da difendere l'interesse comune.

 

Mancano i vitelli

Almeno in questa occasione di fronte al sottosegretario all'Agricoltura, Patrizio La Pietra, che ha guidato l'apertura del Tavolo, la filiera si è mostrata al completo, o quasi.

Pazienza se qualcuno mancava, l'importante è stato porre in luce gli elementi chiave della crisi che colpisce il settore.

Tensioni geopolitiche, emergenze sanitarie, volatilità dei mercati, impongono l'adozione di un'azione strutturata che arresti l'emorragia di aziende costrette a uscire dal mercato.

 

Fra i primi interventi necessari figura la riduzione della dipendenza dalle importazioni dei ristalli (quasi 800mila vitelli importati ogni anno).

Poi una rete di protezione che metta il settore al riparo da distorsioni della competitività innescate da miopi politiche commerciali dentro e fuori dai confini europei.

 

Dove intervenire

Occorre, si è detto, un'azione strutturata mirata ad aumentare la produzione interna.

Caposaldo di questa azione è un piano nazionale per la crescita della linea vacca-vitello e dei ristalli nazionali.

Per raggiungere questi obiettivi si dovrà intervenire su più leve, dalla genetica alla organizzazione della filiera.

A proposito di filiera, si è ribadita la necessità di realizzare un'organizzazione interprofessionale dove siano presenti tutte le rappresentanze agricole, industriali e commerciali.

E questa sarà forse la parte più difficile da realizzare, ma bisognerà almeno tentare.

 

Proposte concrete

In conclusione, un primo passo per scrivere un Piano di Settore dal quale far derivare gli strumenti operativi per realizzarlo.

Non resta che mettere nero su bianco le proposte che lo stesso La Pietra ha chiesto per poter stabilire su cosa e come intervenire. L'appuntamento è per fine maggio. Meglio non mancare.