Il rincaro dei fertilizzanti causato dalla guerra in Ucraina è una conseguenza della dipendenza europea dall'urea e ammoniaca russe. Tale dipendenza non vuol dire che in Europa non siamo più capaci di produrci l'urea da soli, si tratta di un problema energetico: sia l'urea che l'ammoniaca vengono sintetizzate a partire dal gas naturale. Non è quindi da meravigliarsi che, prima della guerra in Ucraina, fossero proprio Russia e Bielorussia i principali fornitori di urea dell'Ue.

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Guerra a parte, il problema comunque rimane: l'utilizzo dei concimi azotati di sintesi presuppone la dipendenza dal gas naturale, che è la prima sfida che dobbiamo vincere. Sostituire le importazioni di gas con il ricorso alle energie rinnovabili non sarebbe di aiuto. Ammesso e non concesso che sia economicamente fattibile produrre concimi chimici "verdi" con energie rinnovabili, rimarrebbe ancora un secondo nodo da sciogliere: l'eutrofizzazione dei corpi d'acqua causata dal dilavamento dei nutrienti provocato dalle piogge e la riduzione della capacità di campo, conseguenza della perdita di carbonio organico, inevitabile quando si altera il rapporto C/N del suolo.

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Al posto dei prodotti derivati da combustibili fossili potremmo sfruttare risorse biologiche per migliorare e mantenere la fertilità dei suoli. In questo articolo non faremo alcun riferimento alla consueta digestione anaerobica, né al recupero di ammoniaca dai digestati, bensì ai batteri promotori della crescita delle piante (BPCP in italiano, PGPB, Plant Growth Promoting Bacteria, nella letteratura scientifica). Abbiamo già esplorato questo argomento in passato, tentando di fare un po' di chiarezza sui fatti scientifici e sulle tante esagerazioni pseudoscientifiche del marketing "bio antisistema".

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I primi risultati di una ricerca tutta italiana tracciano la strada verso un possibile scenario futuro nel quale i biofertilizzanti potrebbero essere confezionati "su misura" per ogni appezzamento di terreno, o quanto meno per aree geografiche.

 

L'approccio italiano alla biofertilizzazione è puramente pragmatico: ogni terreno ha una flora microbica propria che si è già evoluta per adattarsi alle condizioni locali, quali temperature medie, pH, umidità media, alcalinità, eccetera. Se preleviamo un campione dal terreno e selezioniamo i gruppi di batteri nativi che possono presentare tratti favorevoli allo sviluppo della coltura di nostro interesse, otteniamo dunque un biofertilizzante su misura. Applicata al terreno, una tale coltura batterica rafforzerà la popolazione dei microrganismi benefici per le piante, eventualmente sopraffacendo per numero quelli potenzialmente nocivi, senza alcun impatto negativo sull'ambiente. I BPCP faciliteranno dunque la disponibilità per le piante di acqua e nutrienti già presenti nel suolo, quindi in definitiva andremo a risparmiare acqua e fertilizzanti senza intaccare la produttività.

 

Un gruppo di ricercatori dell'Enea ha testato con successo la strategia suddetta in due casi: uno in Sardegna e l'altro - più estremo - nel deserto di Giordania.

 

Nella prova condotta in Sardegna (articolo in anteprima, 1) è stata testata la coltivazione di pomodoro industriale su un suolo estremamente povero di sostanza organica, ricco di Si, Al, K, N e con discrete concentrazioni di P. I risultati hanno indicato che l'inoculazione del suolo con la formula preparata con otto specie di BPCP selezionati fra le quaranta specie che costituivano la popolazione autoctona, ripetuta in diversi momenti della crescita delle piante, ha consentito l'ottenimento di rese comparabili con quelle abituali dei fertilizzanti chimici. L'effetto benefico dei BPCP è stato osservato in tutti i casi, a prescindere dalla varietà di pomodoro.

 

La conclusione preliminare che si può trarre da questa prova sul campo è che l'applicazione corretta di un biofertilizzante formulato rispettando gli equilibri ecologici del suolo in questione consente di evitare l'impiego di fertilizzanti chimici costosi e inquinanti, senza compromettere le rese di pomodoro.

 

La seconda prova riguarda la produzione di sorgo in un ambiente proverbialmente arido come la Giordania. Il progetto Ortumannu, condotto da Enea, Università degli Studi di Cagliari, Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna (CRS4) e Mutah University (Giordania), punta a contrastare l'impoverimento dei suoli e a promuovere una produzione agricola di alta qualità, riducendo l'utilizzo di fertilizzanti, agrofarmaci e acqua grazie all'utilizzo integrato di risorse naturali, biotecnologie e strumenti di caratterizzazione, monitoraggio e modellazione all'avanguardia.

 

L'approccio metodologico del progetto mira a sfruttare le interazioni suolo-piante:

  • Il suolo è fatto da diverse componenti. I minerali derivano dalle rocce e sono una delle fondamentali sorgenti di nutrienti per piante.
  • La composizione mineralogica dei suoli varia a seconda della regione che consideriamo.
  • I processi di interazione fra flora microbica, radici e minerali portano alla mobilizzazione degli elementi nutritivi di cui necessitano le piante.
  • Il consumo di alcuni minerali e la formazione di altri durante l'interazione tra pianta e suolo possono essere limitati da alcuni fattori fisici. Capire come e dove si svolgono questi permette di conoscere meglio le potenzialità di crescita delle piante nel suolo a disposizione.

 

Fino a pochi anni fa, per permettere una produzione agricola sufficiente alle necessità di una popolazione in forte crescita, venivano largamente ed indiscriminatamente utilizzati i fertilizzanti chimici. NPK, il più comune, azoto-fosforo-potassio, ha raggiunto dei picchi di utilizzo in Unione Europea fino a 195 chilogrammi N/ettaro a Cipro. La Giordania mostra dei picchi di utilizzo pari a 682 chilogrammi NPK/ettaro. Nell'ambito del progetto, presso la stazione agronomica della regione di Al-Ghuweir in Giordania contraddistinta da suoli improduttivi e scarsità di risorse naturali e acqua, il team di ricercatori dell'Enea è stato impegnato nella caratterizzazione microbiologica del suolo.

 

In seguito, utilizzando il sequenziamento del gene 16S rDna il team ha isolato e identificato dal suolo ventuno ceppi di batteri che sono stati testati per la capacità di promuovere la crescita delle piante, fissare l'azoto, mobilizzare il fosforo, solubilizzare il potassio e produrre siderofori, cioè sostanze organiche in grado di influenzare l'accrescimento delle piante (Foto 1). I ceppi con le migliori caratteristiche sono stati selezionati per creare la formula microbica più efficace da applicare in un campo sperimentale della Mutah University coltivato a sorgo.

 

Approccio metodologico utilizzato per la preparazione di un biofertilizzante basato su microrganismi autoctoni

Foto 1: Approccio metodologico utilizzato per la preparazione di un biofertilizzante basato su microrganismi autoctoni

(Fonte foto: Chiara Alisi - Enea)

 

Rispetto all'uso di fertilizzanti chimici come il fosfato biammonico (DAP), la sperimentazione in campo ha dimostrato l'efficacia della formula microbica nel sostenere la crescita durante la fase di produzione di fusti secondari del sorgo (accestimento). Inoltre, è stato rilevato che in condizioni di stress idrico le piante inoculate con il biofertilizzante sono sopravvissute in buone condizioni fisiologiche, a differenza delle piante concimate con fertilizzante chimico.

 

Oltre all'interesse scientifico, il progetto Ortumannu ha importanti implicazioni sociali. Il paradigma che si delinea è quello di produrre su scala locale i fertilizzanti. Questo può essere fatto per unità di produzione sufficientemente grandi (cooperative, organizzazioni dei produttori, distretti) che possano sostenere la costruzione di un laboratorio di preparazione degli inoculi microbici. Si attende un profondo impatto positivo e significativo sulla vita di queste comunità locali guidate dall'agricoltura. Le comunità mirate che comprendono i responsabili politici e le parti interessate sono già attivamente coinvolte nella ricerca, con l'obiettivo comune di trasferire positivamente le buone pratiche e sostenere un rapido processo di traduzione nell'agroindustria.

 

Riferimento bibliografico

(1) Patrizia Paganin, Clelia Isca, Flavia Tasso, Tommaso Calandrelli, Giada Migliore,  Daniela Medas,  Elisabetta Dore, Pier Andrea Marras, Giovanni De Giudici, Anna Rosa Sprocati, Chiara Alisi; A bacterial formula with native strains as alternative to chemical fertiliser for tomato crop.

 

L'autore ringrazia Chiara Alisi, ricercatrice del Laboratorio di Osservazioni e Misure per l'Ambiente e il Clima dell'Enea, per il materiale utilizzato per la redazione di questo articolo.