È stato definitopittore dell’irreale, ma non surreale, una persona gentile e disponibile, con un piglio di aristocratica cordialità”. Artista “onirico e simbolico, viandante del pensiero”, perché la pittura è “tremore di un’epoca”.

Un altro tremore, distruttivo, il 20 e 29 maggio, ha scosso la casa di Lanfranco, geniale e poliedrico maestro che della pittura, della scultura, della poesia e del racconto ha fatto le proprie leve espressive.
“I quadri, appesi a catenelle, hanno iniziato ad ondeggiare – racconta Lanfranco dalla sua casa di Quingetole, nel Mantovano del Destra Secchia – e qualche crepa ha frastagliato la casa, ma nessun altro danno, per fortuna”.
In questo ciclo di articoli fatti per ricordare il terremoto che ha devastato parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto proprio un anno fa, dedichiamo una puntata supplementare di agri@rte a Lanfranco. Non chiedete il cognome (che pure conosciamo), perché l’artista si firma e si fa chiamare esattamente Lanfranco, senza aggiungere di più.

Maestro, è stato definito pittore surreale, cantore dell’irreale. La sua arte ci ricorda Bosch, Brueghel, Max Ernst, Salvador Dalì. Lei come definirebbe la sua pittura?
“Pittura fantastica nell’arte. Mi piace aggiungere l’immaginazione, che appartiene alla nostra mente, per andare oltre alla metafisica e al surrealismo, che è stata un’epoca, un fatto letterario”.

Lei si ritiene dunque…
“Un pittore fantastico. La fantascienza mi ha sempre affascinato, fin da ragazzo. Sono sempre stato un tecnologico, se così si può dire. Da giovane avevo disegnato storie di fantascienza e da allora mi sono sempre considerato diverso da quegli artisti che sono fermi sulla terra, preferisco applicare la mente su un fatto cosmico, universale”.

Da qui vengono le sue rappresentazioni fantastiche?
“Sì. Descrivo persone senza tempo, per calarmi in un futuro immaginario, dove l’accondiscendenza della terra porta alla conoscenza dello spazio. Non dimentichiamo che l’arte fantastica è sempre esistita, già nella preistoria, ancora ai tempi delle piramidi. In Italia per tanti motivi è stata sempre combattuta, si è preferito un realismo spinto. La mia arte, invece, promana dal viaggio della mente. Descrivo persone senza tempo, per calarmi in un futuro immaginario, dove l’accondiscendenza della terra porta alla conoscenza dello spazio”.

Recentemente le sue opere sono state esposte a Parigi, a Mosca e Cina. Un grande successo.
“Sono soddisfatto, anche se mi è difficile oggi viaggiare, sono solo. Però il mio gallerista di Parigi mi ha detto: un pittore come te a Parigi non c’è e non ci sarà per molto tempo. Eppure per me dipingere è così facile, un insieme di plastica, cultura, viaggio, rimanendo saldamente contemporanea”.


Lanfranco, Il poeta fossile
(
Lanfranco - La macchina del tempo, edizione Tre Lune, voll 2, anno 2004, Mantova

Lei è un uomo figlio del Po e delle sue terre, eppure non si è mai lasciato sedurre dal paesaggio, inteso come rappresentazione del territorio circostante e reale.
“Per 15-20 anni ho vissuto fra Milano e l’estero, ma la città non mi piaceva e sono ritornato in campagna. Milano non era il mio posto. I campi, il verde, gli alberi, questo è il mio mondo, anche se poi dipingo facendo volare la mente su mondi fantastici. Ma la campagna è bellissima, mi piace guardarla fiorire, vedere il ciclo della vita e della natura”.

Meglio allora la vita in campagna, come peraltro molti stanno scoprendo?
“Sì, ho ricordi che risalgono ancora prima della guerra. La campagna allora era silenziosa. Ricordo che in estate c’era davvero un silenzio perfetto, una luce metafisica, una sorta di concetto reale”.

E con tutta questa passione, maestro, non ha mai voluto dipingere il paesaggio?
“Dipingo altri paesaggi. Ci hanno insegnato ad essere molto terrestri, invece a me piace guardare e rappresentare le cose da un’altra prospettiva, da sotto e da sopra”.

Eppure in alcune opere ha dipinto alcuni frutti, seppure in una dimensione fantastica.
“Sì, ricorda bene. Una pesca nella schiena dell’Apridonna, dipinta nel 1975. E poi dipinsi, in un quadro donato all’imprenditore Corneliani, ora nella sede mantovana di Confindustria, una ragazza mantovana, nuda, che cercava di ferire una mela, grande quanto lei”.

Qualcuno riconduce la sua arte a Stanley Kubrick. Ha mai disegnato per riviste di fantasy o scenografie di film?
“Conosco uno scrittore di fama mondiale, che vive a Londra. Si chiama Brian Wilson Aldiss, amico e collaboratore di Kubrick. Il soggetto dell’intelligenza artificiale è suo. È stato l’unico che ha capito il mio lavoro, tanto che ha utilizzato il mio dipinto I grandi maestri del sogno per la copertina del suo libro A Romance of the Equator”.
(Nel 2004 Lanfranco ricambiò la stima di Aldiss, regalandogli il quadro Una ragazza)

Come si immagina l’agricoltura fra 100 anni?
“Sarà sempre importante per lo sviluppo della civiltà, ma tutto sarà fatto in modo che l’uomo sarà sempre più controllato nelle sue attività. Non si potranno più distruggere gli alberi, che saranno sempre di più il patrimonio dell’umanità. L’uomo non distruggerà più ciò che ha intorno”.

Che cosa mangeremo?
“Un po’ di pillole e quel poco di frutti che ci darà l’agricoltura, perché fra 100 anni avremo un’agricoltura molto ricca, scientifica, selezionata, ma il prodotto agricolo puro sarà un privilegio”.

Lei che è un uomo di fantascienza, cosa dice sugli Ogm?
“Penso che negli anni avrà una sua evoluzione. Non si potrà fermare, ma saranno sempre più perfezionati, anche perché penso che sarà importantissimo che l’agricoltura mantenga la propria funzione vitale, non solo ispirata dalla chimica e fisica. L’agricoltura è la vita”.

Un anno fa, quando ci fu il terremoto, cosa ricorda?
“Ero in casa, ho sentito la casa scrollare. L’ultima scossa è stata come un rombo, il cielo era quasi nero e ha cominciato a tremare tutta la casa. I miei quadri, appesi su catenelle, dondolavano, il rumore è stato forte”.

Ricorderà il terremoto in qualche modo, con le sue opere?
“No. Non mi piace descrivere o ricordare queste sciagure”.