L'elenco sarebbe molto lungo, perché di autorizzazioni in deroga per usi eccezionali se ne sono accumulate tante negli ultimi anni, tanto da attirare critiche da molteplici parti. Per avere un quadro esaustivo della situazione, AgroNotizie ha quindi intervistato Aldo Ferrero, professore ordinario presso il Disafa, acronimo di Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari dell'Università di Torino.
Professor Ferrero, iniziamo dalle basi chiarendo su quali aspetti normativi poggiano le autorizzazioni in deroga.
"Le autorizzazioni in deroga sono previste dall'art. 53 del regolamento (Ce) n. 1107/2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari. Secondo tale articolo uno Stato membro può autorizzare, per non oltre 4 mesi, l'impiego di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, per far fronte a un problema fitosanitario che non può essere affrontato in alcun altro modo ragionevole. In relazione a questo aspetto debbono essere considerati tutti i possibili mezzi compresi quelli non chimici (biologici, meccanici, ecc.). Tale autorizzazione può riguardare sia la comparsa di nuove avversità, sia la necessità di sopperire alla mancanza di adeguati mezzi di lotta a delle avversità già esistenti, per il venir meno di prodotti o tecniche idonee".
Quali prodotti può riguardare un'autorizzazione in deroga?
"Può riguardare prodotti fitosanitari contenenti sostanze attive di sintesi, naturali o microorganismi. Gli oggetti di deroga possono essere già stati approvati e presenti in prodotti fitosanitari autorizzati per colture/avversità diverse da quelle oggetto della richiesta. Oppure, possono essere già approvate, ma non presenti in prodotti fitosanitari autorizzati in Italia, ai sensi del Regolamento (CE) 1107/2009. Ancora, possono essere in corso di approvazione, come accade con nuove sostanze per le quali è stata presentata una domanda che lo Stato membro relatore ha ritenuto ammissibile. Infine, possono essere oggetto di deroga anche sostanze attive non approvate ai sensi del Regolamento (CE) 1107/2009".
Quali sono le modalità tramite le quali è possibile richiedere un'autorizzazione in deroga e qual è la finestra temporale di solito concessa dalle autorizzazioni?
"I portatori di interesse, ovvero associazioni dei produttori, cooperative agricole di settore. Questi provvedono a segnalare, dando ampia motivazione, la specifica condizione di emergenza fitosanitaria al ministero della Salute e per conoscenza al ministero dell'Agricoltura, oltre che al ministero dell'Ambiente mare, nonché e a quello dello Sviluppo economico. Dopo aver ottenuto il parere favorevole del Servizio fitosanitario centrale, a suo volta legato a quello del Servizio fitosanitario nazionale, il ministero della Salute pubblica sul proprio portale l'invito alle aziende produttrici del prodotto fitosanitario ritenuto necessario per affrontare il problema, a presentare, se interessate, entro un termine stabilito, la domanda di autorizzazione per usi di emergenza fitosanitaria, corredata dalla documentazione prevista per le diverse tipologie di prodotti. Una volta acquisito il parere dei componenti della Sezione consultiva per i fitosanitari, il ministero della Salute esprime il suo giudizio sull'autorizzazione all'impiego del prodotto. Il processo di valutazione dalla segnalazione dei portatori di interesse alla decisione ministeriale può comunemente richiedere da 2 a 4 mesi e l'autorizzazione è ordinariamente rilasciata, come previsto dalla normativa, per non oltre 120 giorni".
È mai stata bocciata una richiesta di deroga in passato?
"Si. È accaduto per alcuni prodotti per i quali è stata segnalata la necessità agronomica da parte dei portatori di interesse, ma non è stata poi concessa l'autorizzazione, sia per ragioni legate alla sicurezza tossicologica e ambientale dei prodotti stessi, sia per motivi formali. Per esempio la richiesta è stata reiterata per un numero eccessivo di volte, senza l'impegno da parte dell'industria produttrice a voler procedere alla domanda di registrazione dei prodotti".
Come si posiziona l'Italia in tale prassi?
"Non ho un'idea precisa sulla posizione dell'Italia nella graduatoria comunitaria delle autorizzazioni per usi di emergenza fitosanitaria, tuttavia ritengo che nel nostro paese vengano rilasciate da 50 a 60 autorizzazioni l'anno e che questo valore non si discosti molto da quello degli altri paesi dell'Europa meridionale, aventi condizioni ambientali e colturali simili, nei quali si registrano sempre con maggior frequenza fenomeni invasivi di avversità esotiche. Va inoltre osservato che in questi stessi paesi si sta assistendo ad una elevata dinamica del panorama colturale, caratterizzata dal rapido sviluppo di colture di nuova introduzione o tradizionalmente di interesse marginale. In ogni caso, mi preme sottolineare come la stragrande maggioranza delle autorizzazioni in deroga concesse ogni anno si riferisca a prodotti già autorizzati, per i quali la richiesta riguarda l'estensione a colture o ad avversità non autorizzate".
Aldo Ferrero del Disafa di Torino
(fonte: © Donatello Sandroni)
Vi sono colture che più hanno necessitato di tali deroghe rispetto ad altre?
"Direi il riso, le orticole e le colture minori".
Visto il crescente ricorso a tali deroghe, tanto da essere accusati di abusarne, vi è però da pensare che forse se bisogna correre a tappare dei buchi è perché prima si sono aperti appunto i buchi stessi. In altre parole, da dove nasce tutta questa esigenza di richiedere deroghe per usi eccezionali?
"Personalmente non ritengo si debba parlare di abuso nel ricorso agli usi di emergenza, se si tiene conto delle condizioni oggettive in cui si trova ad operare la nostra agricoltura. A questo riguardo, credo sia in particolare necessario prendere in considerazione i seguenti quattro principali aspetti:
1. l'impatto del sistema normativo comunitario, relativo alla registrazione e all'impiego dei prodotti fitosanitari;
2. la forte esposizione dell'Italia all'introduzione di nuove pericolose avversità;
3. l'elevata dinamicità del quadro colturale del nostro paese;
4. Il ridotto numero di nuove sostanze attive poste in commercio.
Con particolare riferimento agli aspetti normativi, vorrei, innanzitutto, richiamare gli effetti derivanti dall'introduzione della direttiva 91/414/CEE, relativa all'autorizzazione all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari in Europa. L'applicazione di questa normativa, da un lato, ha portato l'Europa in prima posizione, a livello globale, per quanto riguarda la sicurezza sanitaria e ambientale dell'impiego dei prodotti fitosanitari. Dall'altro, ha però determinato l'uscita dal mercato di circa il 70% delle sostanze esistenti, in gran parte per rinuncia da parte delle società produttrici, non stimolate a sostenere ingenti costi per produrre gli studi previsti dalle nuove normative e necessari per sostenere prodotti non più specialistici e considerati talvolta tecnicamente obsoleti. Sono quindi progressivamente scomparse molte sostanze attive, mentre venivano introdotti prodotti nuovi appartenenti a un numero relativamente sempre più limitato di gruppi chimici, ciascuno caratterizzato da proprietà chimico-fisiche, tossicologiche e ambientali favorevoli e con meccanismi di azione spesso comuni a diversi prodotti di ciascun gruppo chimico. In tali condizioni, in questi ultimi anni, si è assistito a una crescente diffusione di fenomeni di resistenza nelle diverse avversità delle colture, come riscontrato ad esempio in molte malattie fungine alle strobilurine o in piante infestanti agli erbicidi inibitori dell'ALS o dell'ACCasi".
Un panorama che si è ulteriormente inasprito con la diffusione di nuove specie aliene, le quali si sono andate a sommare alle avversità già presenti sul territorio italiano...
"In questi ultimi anni, la globalizzazione degli scambi commerciali, così come le particolari condizioni climatiche, hanno favorito la diffusione di nuove e dannose avversità, come ad esempio Drosophila suzuki (moscerino dei piccoli frutti), Halyomorpha halys (cimice asiatica) o Pseudomonas syringae (cancro batterico dell'actinidia) contro le quali non erano disponibili prodotti idonei autorizzati".
Un assalto che può in effetti spiazzare se la risposta non è tempestiva.
"Un aspetto qualificante della nostra agricoltura è rappresentato proprio dalla capacità del sistema produttivo di adeguarsi rapidamente alle variabili esigenze dei mercati, soprattutto per quanto riguarda le colture minori. Ricordo a questo riguardo, a titolo esemplificativo, colture quali il coriandolo da seme e il cece, per le quali non è disponibile un numero adeguato di prodotti per la difesa. In relazione a questa situazione, ritengo sia indispensabile mantenere aggiornato l'elenco delle specie minori del nostro paese e a definire, in accordo con le normative e le linee guida europee, criteri semplificati e rapidi per l'autorizzazione dei prodotti fitosanitari su queste colture".
La ricerca nel settore fitoiatrico non pare peraltro molto fertile negli ultimi anni.
"Da circa due decenni si assiste a una sempre minore introduzione di nuove sostanze attive per la difesa delle colture e soprattutto di molecole dotate di nuovi meccanismi di azione. Questo fenomeno è da attribuire soprattutto ai costi sempre più elevati della ricerca e dello sviluppo di questi prodotti, alla luce anche dei rigidi protocolli. Ad esempio, nel settore del diserbo chimico, quello che conosco meglio, in questi ultimi anni, si è arrivati ad avere lo sviluppo commerciale di una nuova sostanza ogni 3-4 anni. Sulla base di queste considerazioni, non ipotizzando alcuna inversione di tendenza nella disponibilità di nuovi prodotti ad elevata azione fitosanitaria, ritengo che la difesa delle colture debba sempre fare riferimento all'adozione di tecniche di gestione integrata, basate sull'utilizzazione di idonee pratiche agronomiche e colturali, in grado di limitare l'aggressività delle avversità e di favorire l'azione degli strumenti chimici disponibili, minimizzando i possibili effetti sfavorevoli legati alla loro applicazione".
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Fonte: Agronotizie