Nel Regno Unito, in Germania, in Olanda, in Francia, in Spagna, le politiche agrarie nella seconda metà del secolo scorso si erano poste due principali obiettivi:
b) trasformare coltivatori ed allevatori in imprenditori capaci di competere sui mercati esteri.
Hanno di conseguenza agevolato l'ampliamento delle aziende, l'accorpamento dei terreni, rafforzato ed accresciuto i servizi di consulenza e l'addestramento, per trasferire rapidamente e correttamente le innovazioni e migliorare le competenze tecniche e manageriali. Il numero è gradatamente diminuito, la ampiezza media è aumentata sensibilmente, un numero crescente di esperti ha affiancato gli agricoltori nel pianificare gli investimenti, nell'ammodernare l'azienda, nell'introdurre il controllo di gestione, nel rispondere ai segnali del mercato.
Il sostegno finanziario della PAC ha ovviamente accelerato questo processo di crescita, i redditi ed il benessere della popolazione agricola sono sensibilmente aumentati.
I paesi mediterranei, il Portogallo, l'Italia, la Grecia, per l'elevatissimo numero di piccole aziende coltivatrici, non hanno potuto, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo illustrare, seguire del tutto lo stesso orientamento. Hanno fatto maggiore affidamento sul sostegno dei prezzi per sostenere i redditi delle famiglie rurali.
In questi tre paesi, l'abbondanza di mano d'opera contadina ha favorito ordinamenti colturali molto intensivi. Nelle aree dove condizioni pedo-climatiche ed orografiche erano più favorevoli si sono formate aziende professionali mentre in quelle meno vocate la piccola azienda familiare di tipo tradizionale è rimasta stabile e senza sostanziali cambiamenti. Le superfici medie sono rimaste assai basse, è stato introdotto l'agriturismo e si è fatto affidamento sui prodotti tipici, per diversificare ed integrare i redditi. L'Unione europea ha messo a disposizione ingenti fondi per lo sviluppo rurale.
I paesi dell'est, dopo la liberazione dalla dominazione sovietica, in particolare la Polonia, avevano due tipi di aziende, quelle coltivatrici di piccole e piccolissime dimensioni e quelle statali di rilevante ampiezza economica.
Gli interventi governativi hanno in primo luogo privatizzato queste ultime senza però dividerle fra tanti piccoli coltivatori. Contemporaneamente hanno creato i servizi di consulenza per dare agli agricoltori un supporto tecnico per ammodernare, per accrescere l'efficienza.
I cospicui mezzi finanziari messi a disposizione dalla Ue hanno accelerato il processo di allineamento alle condizioni dei paesi occidentali e negli ultimi venti anni sono cresciute sensibilmente le quote dell'export alimentare.
Dopo questi cambiamenti, all'inizio del terzo millennio, in Europa prevalgono le imprese di medie dimensioni in grado di competere con i concorrenti di altri continenti; nel sud est del continente è rimasta preponderante la piccola azienda familiare i cui costi di produzione sono alti, i redditi unitari inferiori alla media. Le prospettive per questo tipo di impresa sono molto incerte.
Il nostro paese si trova in una situazione ancora più precaria. Infatti le 300.000 aziende professionali sono nella maggioranza troppo piccole per assicurare guadagni soddisfacenti; la legislazione sull'affitto favorisce la proprietà e non l'impresa. I servizi di consulenza sono quasi del tutto assenti, la formazione professionale e l'addestramento hanno scarsa qualità e la domanda, per queste carenze, è rimasta solo implicita. La produttività agricola da oltre venti anni non aumenta ed i giovani non vogliono intraprendere questo mestiere e la popolazione agricola va ulteriormente invecchiando.
Il governo non dispone di mezzi finanziari per affrontare questa situazione di carattere strutturale. Ha dovuto indirizzarsi sulla valorizzazione dei prodotti tipici, ritenendoli una soluzione non solo efficace ma risolutiva. I prodotti tipici sono però solo il 20% della PLV del settore. Per farli conoscere, affermare oltre i confini e contrastando la concorrenza di paesi adiacenti, occorrono ingenti investimenti commerciali e nel marketing ed una organizzazione della logistica e della distribuzione adeguata.
I tanti piccoli coltivatori, senza punti di riferimento, privi di consiglieri tecnici, con redditi troppo bassi ed in età avanzata, non sono in grado di dare vita in maniera autonoma a cooperative o consorzi, prima tappa per aggregare e rendere omogenea la offerta e poi gestire in maniera efficiente la distribuzione.
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Fonte: AEI - Associazione Economisti d'Impresa
Autore: Associazione Economisti d'Impresa