Anche quest’anno la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa ha organizzato il tradizionale “Convegno di Maggio” su un tema di grande attualità: la brevettazione del vivente. In questi ultimi anni, si è molto discusso circa la possibilità di brevettare non solo piante, animali, microrganismi, ma anche i loro geni e della differenza tra la scoperta di qualcosa già esistente in natura, e perciò patrimonio dell’umanità, e l’invenzione opera dell’ingegno umano, come tale potenzialmente brevettabile. 

 

'Nel caso delle risorse biologiche utilizzate in agricoltura - dice Andrea Marescotti, Rettore dell'Università di Pisa e Preside della Facoltà di Agraria - è difficile distinguere tra invenzione e scoperta, poiché l’innovazione agricola è stata continua e collettiva a partire dalla domesticazione di piante, animali e microrganismi avvenuta oltre 10.000 anni fa. Il grande patrimonio di agrobiodiversità che abbiamo ereditato e le conoscenze legate al suo utilizzo non dovrebbero essere oggetto di brevettazione in quanto appartengono alle popolazioni che hanno studiato e selezionato varietà, razze e colture.

Purtroppo in anni recenti stiamo assistendo alla raccolta di risorse genetiche vegetali finalizzata alla brevettazione ed allo sfruttamento commerciale, operata in modo mirato, utilizzando le conoscenze tradizionali delle popolazioni locali. L’attualità e l’importanza di questi temi è dimostrata anche dalle recenti parole del Papa, pronunciate contro la politica di appropriazione delle risorse naturali africane da parte delle multinazionali. Il nostro convegno dunque affronta problemi che sono al centro del dibattito nazionale e internazionale, con interventi di esperti italiani e di docenti della Facoltà che al tema della brevettazione della vita hanno dedicato i loro studi e ricerche.'

Oltre ad informazioni e relazioni su aspetti generici sull'etica del brevetto nel mondo vegetale ed animale sono state affrontate tematiche più specifiche per il mondo dell'agricoltura e dei mocrorganismi. 

 

Il settore agroalimentare ed i suoi microrganismi 

'Brevettare i microrganismi per il settore agroalimentare, inclusi le loro formulazioni industriali, i processi che essi promuovono e la produzione di metaboliti - sostiene il professor Marco Nuti, docente di Microbiologia della Facoltà di Agraria di Pisa - costituisce oggi un modo per creare e diffondere le conoscenze scientifiche. Infatti la privativa non riguarda le conoscenze bensì l'uso industriale di queste. La scelta tra brevetto nazionale, europeo od internazionale dipenderà da fattori economici e di mercato, oltre che di opportunità per l'utilizzazione del materiale e delle conoscenze su un determinato territorio e per un tempo determinato (di norma non superiore a vent'anni). Al marzo 2009, secondo i dati della WIPO (World Intellectual Property Organisation, un'agenzia delle Nazioni Unite), risultano depositati 65.295 brevetti di batteri, 30.909 riguardanti i lieviti e 17.549 i funghi. Di questi, circa 5.600 riguardano il compostaggio, i ferrobatteri, la bonifica ambientale, i funghi micorrizici e i batteri denitrificanti. Oltre 13.000 invece quelli del settore alimentare con batteri lattici, probiotici, prodotti lattiero-caseari, insilati, lieviti per panificazione e vinificazione, batteri per la conservazione delle carni. L'Italia, pur presente sulla scena brevettuale internazionale entro i primi dieci Paesi, è largamente assente nella brevettazione di microrganismi, ed in particolare nel settore agro-alimentare. Le istituzioni pubbliche, che sulla scena internazionale, sono prevalenti nella brevettazione di prodotti e processi microbici sulla scena internazional, sono invece largamente assenti se considerate con riferimento al territorio nazionale. In tal modo non si concretizza quella che potrebbe essere, nel pieno rispetto delle leggi, un fondamentale sorgente di risorse finanziarie per il finanziamento della ricerca.'

 

Alcune esperienze legate a progetti o attività 

Nel suo intervento il professor Andrea Cavallini, Direttore del Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie di Pisa, ha messo in evidenza come l’identificazione di un genotipo sia un aspetto fondamentale della sua protezione, sia nel caso di varietà registrate che nel caso di specie da salvaguardare. Ha quindi tracciato un quadro generale dell’uso dei marcatori molecolari a DNA (microsatelliti, marcatori SNP) per l’identificazione degli individui, delle cultivar e delle specie vegetali, riportando i risultati ottenuti dal suo gruppo di ricerca in vite e in olivo, con particolare riferimento alla messa a punto di metodiche innovative di marcatura molecolare e alla possibilità di utilizzare i marcatori molecolari per la tracciabilità dell’olio d’oliva. Ha infine descritto le problematiche inerenti il DNA barcoding e il suo impiego per la salvaguardia di specie vegetali a rischio di estinzione.

Sempre sull’impiego delle applicazioni di biologia molecolari alla salvaguardia della biodiversità, il dottor Claudio D’Onofrio, del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”, ha ricordato come la coltura della vite, e quindi la viticoltura, risalga all’origine dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile: si stima che a livello mondiale attualmente esistano circa 24000 vitigni (varietà di vite) di cui, per la presenza di un elevato numero di sinonimie, in parte messe in evidenza dal recente utilizzo dei marcatori molecolari, si ritiene che quelli effettivi siano circa 10000. Tranne pochi casi di vitigni ottenuti da incroci controllati (incroci e ibridi produttori), i suddetti vitigni sono stati selezionati nel corso dei millenni tra le varietà spontanee e, pertanto, non sono brevettabili.

L’importanza del recupero e della conservazione della biodiversità del pianeta, sancita da recenti convenzioni internazionali, e la crescente attenzione dei consumatori verso i prodotti alimentari locali di nicchia ottenuti con le risorse genetiche autoctone, ha stimolato il recupero, la caratterizzazione e la valorizzazione dei vitigni autoctoni minori da parte delle varie istituzioni viticole a livello nazionale.

Il Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi” dell’Università di Pisa sin dagli anni ’80 ha lavorato per il recupero e la caratterizzazione dei vitigni autoctoni toscani, recuperando circa un migliaio di accessioni viticole. La Regione Toscana ha poi istituito il Registro Regionale delle Risorse Genetiche Autoctone, nel quale sono stati iscritti 127 vitigni autoctoni, dei quali 118 a rischio di estinzione che sono conservati ad opera di coltivatori custodi. Come supporto all’attività di recupero e di caratterizzazione dei vitigni autoctoni minori, è stato creato un gruppo di lavoro, costituito da 21 istituzioni di ricerca nazionali, per la realizzazione di un database viticolo che sarà presto accessibile all’indirizzo www.vitisdb.it. Il vitisdb consente una gestione decentralizzata dei dati nel database e l’inserimento dei dati relativi ai profili microsatelliti prevede una specifica procedura di standardizzazione sulla base del confronto con profili di riferimento.

Nel settore delle colture ortofloricole, le ricerche inerenti la tematica della conservazione della biodiversità sono state illustrate dal dottor Fernando Malorgio, del Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie. 'La floricoltura è un settore particolare dell’agricoltura - spiega Fernando Malorgio - caratterizzato dalla produzione di beni non alimentari e “marketing oriented”.  È un settore molto complesso in virtù delle numerose specie che si coltivano (oltre 2000) e della continua evoluzione del patrimonio varietale. Comprende diversi segmenti produttivi come il fiore reciso, le piante ornamentali sia da esterno che da interno, il vivaismo ornamentale ed può  anche includere la produzione di un servizio (il cosiddetto “terziario verde”). La globalizzazione del mercato e l’aumento della competizione internazionale spingono il settore alla ricerca di nuove tipologie produttive derivanti dal miglioramento genetico (nuove cultivar), da nuove specie introdotte da altri continenti (Australia, Africa, ecc) o da nuove proposte di specie già coltivate per altri usi.

Tuttavia, le nuove tendenze della floricoltura e della gestione del paesaggio sono rivolte alla messa a punto di tecniche colturali ecocompatibili, alla ricerca di specie che si adattino alla coltivazione con bassi input, che garantiscano la conservazione della biodiversità e l’interesse ed il rispetto della natura. Queste tematiche sono state oggetto di un progetto di cofinanziamento a partire dal 2003 dall’Agenzia regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore agricolo-forestale della Regione Toscana (ARSIA) e successivamente dal MiPAAF con il progetto interregionale “Recupero e valorizzazione del patrimonio autoctono e naturalizzato: innovazione di prodotto in floricoltura” (RevFlor) coordinato da Agrinnova di Torino, a cui partecipano molti Centri Sperimentali per la Floricoltura (Sanremo, Pescia, Palermo) ed Università (Torino, Catania, Napoli, Pisa).'

 

Il professor Mario Macchia, del Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema di Pisa, ha successivamente illustrato l’attività del Laboratorio di Ricerca e di Analisi sulle Sementi (LARAS). Dal 2005, attraverso una serie di convenzioni stipulate con ARSIA, il Laboratorio si è dedicato al recupero di vecchie varietà di piante arboree ed erbacee toscane in via di estinzione. Attraverso prove sperimentali in situ ed ex situ sono state effettuate dettagliate descrizioni morfologiche ed agronomiche al fine di caratterizzare le singole accessioni per poterle iscrivere al repertorio regionale delle varietà. Parallelamente all’attività di individuazione, di caratterizzazione e di conservazione di questo materiale genetico, ci si è occupati anche della riproduzione di queste vecchie varietà. Nell’ottica di mantenere nel tempo e di evitare l’estinzione di queste vecchie varietà l’ARSIA ha individuato i cosiddetti coltivatori custodi in tutta la regione. A ciascuno di essi è stata affidata la responsabilità di riprodurre seme “in loco” avvalendosi delle regole stabilite specie per specie. Il laboratorio LARAS ha quindi provveduto ad un’accurata stesura di queste regole per molte colture erbacee e all’individuazione delle varietà locali toscane, la loro caratterizzazione e infine la loro conservazione e reintroduzione sul territorio. Attualmente sono conservate 34 antiche varietà delle quali viene curata anche la riproduzione. Oltre che dai singoli coltivatori custodi, il seme delle singole varietà locali conservate dalla Sezione della Banca Regionale del Germoplasma del DAGA, viene periodicamente riprodotto “ex situ” anche presso il Centro per il Collaudo e il trasferimento dell’innovazione di Grosseto (località Rispescia dell’ARSIA) oltre che nelle aziende dell’Università di Pisa. Inoltre la “rete” di rapporti che lentamente si sta instaurando con i coltivatori custodi e la Banca del germoplasma del DAGA sta creando un sistema di conservazione delle varietà locali a rischio di estinzione del tutto nuovo sia a livello regionale che nazionale. L’attività proseguirà anche nei prossimi anni prendendo in considerazione ed analizzando, caso per caso, le segnalazioni provenienti dai diversi ambienti della Toscana.

 

Il tema della biodiversità nell'ambito zootecnico è stato illustrato dal dottor Marcello Mele, del Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema, Sezione di Scienze Zootecniche, di Pisa, che ha riferito le esperienze del suo gruppo di ricerca nella tutela e valorizzazione delle razze autoctone toscane, svolte in collaborazione con l’ARSIA e con altri dipartimenti delle università toscane.

Le risorse genetiche animali sono spesso mantenute in situ dagli agricoltori come parte integrante del sistema agricolo, economico, culturale ed ambientale. Queste risorse non solo forniscono alimenti, ma spesso svolgono un ruolo chiave nei miti, nelle culture, nelle religioni e nelle tradizioni delle diverse società. Secondo la FAO, infatti, negli ultimi 6 anni si sono certamente estinte 62 razze di animali domestici (con il ritmo di quasi una razza al mese) prevalentemente a causa della sostituzione delle razze autoctone polifunzionali (anche mediante piani di incrocio incontrollati) con razze altamente specializzate e più produttive, spesso di provenienza esterna.

I risultati ottenuti dal gruppo di lavoro del dottor Mele spesso sono stati fortemente condizionati dall’ambiente in cui la razza viene conservata. In particolare due esperienze appaiono emblematiche: quello riguardante la razza Mucca Pisana e quello della razza bovina Garfagnina. Nel primo caso l’intervento di recupero e di valorizzazione ha garantito un percorso che in pochi anni ha portato a raddoppiare la consistenza della razza, portandone i prodotti su tutto il territorio della provincia di Pisa e non solo. Nel secondo caso, la componente territoriale ha mostrato scarso interesse facendo così mancare la condizione principale per lo sviluppo di un programma di salvaguardia della biodiversità. In conclusione il rischio di erosione genetica è ancora molto alto in molti Paesi, compreso il nostro. Il pieno coinvolgimento di istituzioni territoriali, comunità rurali e istituzioni scientifiche è condizione imprescindibile per lo sviluppo di programmi di salvaguardia della biodiversità.

 

Infine, un’ulteriore esperienza di recupero e valorizzazione del germoplasma è stato illustrato dal professor Massimo Rovai, della Sezione di Economia Agraria del Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema di Pisa, che ha riferito di un recentissimo progetto realizzato per la tutela e valorizzazione del ciliegio di Lari. Il progetto aveva l'obiettivo di conservare e valorizzare il patrimonio culturale, sociale e ambientale della cerasicoltura di Lari (PI) con particolare riferimento alla biodiversità del germoplasma locale (nel territorio sono state censite 13 varietà autoctone da parte dell’ARSIA molte delle quali a rischio di estinzione). Si è inoltre cercato di favorire il rafforzamento e lo sviluppo di aziende agricole “multifunzionali” nell’area di produzione della ciliegia.