La clessidra valuta l’impatto di un alimento sulla base delle quantità realmente consumate nell’ambito di una dieta corretta ed equilibrata e mostra come mangiare carne nelle giuste quantità non comporti un aumento significativo dell’impatto ambientale: secondo questo approccio, si può notare come in un modello alimentare corretto il carbon footprint delle proteine sia pari a 7,5 kg di Co2 equivalente, un valore in linea con quello di frutta e ortaggi, che arriva a 6,7 kg Co2 eq. Anche dal punto di vista nutrizionale, il rapporto “La sostenibilità delle carni in Italia” mette a fuoco come un consumo di carne, nelle dosi suggerite per una dieta equilibrata, costituisca un contributo fondamentale per la tutela della salute delle persone. Dalle ricerche condotte sui consumi reali di carne nel Paese, è emerso come gli italiani ne mangino mediamente circa 85 g al giorno - dato in linea con le indicazioni Inran (oggi Cra-Nut) più recenti e disponibili - e come, nel medio periodo, si sia registrato un trend in leggero calo.
Per quanto riguarda l'impatto sulla salute umana, la carne e i salumi, consumati secondo il modello della dieta mediterranea, rappresentano importanti fonti di proteine e di altri micronutrienti solitamente assenti (vitamina B12) o poco rappresentati (zinco, selenio, B2, PP) o scarsamente disponibili (ferro) nei prodotti di origine vegetale. L’aumento di alcune patologie croniche quali diabete, sovrappeso, obesità e ipertensione, è piuttosto da ricercare in stili di vita, sedentarietà e cibi ipercalorici (ricchi di zuccheri e grassi), il cui consumo è cresciuto in controtendenza alla diminuzione di quello della carne. Il rapporto affronta anche il tema dello spreco alimentare legato al settore delle carni, evidenziando come la filiera della carne sia una delle più virtuose dell’agroalimentare italiano e può fungere da modello produttivo per assicurare la sostenibilità economica e ambientale del settore in uno scenario che prevede un aumento del 60% della domanda di proteine da parte della popolazione mondiale entro il 2050. Il settore delle carni è quello meno soggetto al fenomeno dello spreco sia dal lato del consumo, per il valore economico, culturale e sociale percepito per questi alimenti da parte dei consumatori, che da quello della produzione, per la struttura e l’organizzazione virtuose della filiera. Per quanto riguarda ad esempio il settore primario, l’allevamento ha un tasso di spreco dello 0,14%, rispetto allo 0,31% del cerealicolo ed al 4,67% dell’ortofrutticolo.
Il settore delle carni in Italia genera un valore economico dell’ordine di 30 miliardi di euro all’anno, rispetto ai circa 180 dell’intero settore alimentare e ai 1.500 del Pil nazionale. Mentre le tre filiere principali, bovina, suina e avicola si ripartiscono in modo pressoché equivalente il valore economico complessivo, le differenze si trovano nel numero di addetti in Italia: 80.000 ca per le carni bovine, 44.000 ca per le carni suine e i salumi e 55.000 per le carni avicole per un totale di circa 180.000 addetti sul territorio nazionale.
Il rapporto “La sostenibilità delle carni in Italia” - e i risultati in esso contenuti - vogliono rappresentare un punto di partenza per un confronto costruttivo e trasparente, libero da preconcetti e mosso dalla volontà di analisi scientifica e oggettiva. Dal 2012, infatti, un gruppo di operatori del settore zootecnico (aziende e associazioni) si è organizzato per supportare studi scientifici che hanno permesso di arrivare, oltre che alla pubblicazione di questo rapporto, all’avvio del progetto “Carni sostenibili” e, quindi, alla realizzazione del portale web www.carnisostenibili.it. Nato dalla comunione di intenti delle tre principali associazioni di categoria, Assocarni, Assica e UnaItalia, il sito si propone di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti legati al mondo delle carni: un progetto senza precedenti, in Italia, che con un approccio formativo e informativo vuole contribuire a un'informazione equilibrata su salute, alimentazione e sostenibilità.
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Fonte: Assocarni