Vale 13 miliardi di euro ed è in crescita la filiera delle carni bovine in Italia, ma è molto fragile.
Colpa della carenza di vitelli da far crescere nelle nostre stalle. Un problema che ci portiamo dietro da anni, ancora oggi irrisolto.

Così dobbiamo ricorrere alle importazioni di giovani animali, in particolare dalla Francia, ma anche da altri Paesi europei, trasferiti nelle nostre stalle per terminare il loro ciclo produttivo.

 

Nelle scorse settimane la chiusura per motivi sanitari delle frontiere francesi ha mostrato quanto sia debole questo anello della catena produttiva.

Debolezza che si ritrova nei dati della bilancia commerciale delle carni bovine, il cui grado di autoapprovvigionamento continua inesorabilmente a scendere per fermarsi oggi ad appena il 37%.


Il convegno

Il tema della produzione di vitelli e della dipendenza dalle importazioni è così divenuto centrale nelle discussioni che hanno animato il recente incontro sul futuro della zootecnia, promosso da Assocarni, associazione che riunisce gran parte delle aziende che si occupano della trasformazione.

Una filiera complessa, ha ricordato il presidente di Assocarni, Serafino Cremonini, che a fronte di un contesto europeo in contrazione mostra comunque una forte capacità di adattamento.

 

"Ora serve consolidare i risultati raggiunti - ha affermato Cremonini - con politiche di lungo periodo e relazioni più equilibrate con la distribuzione. Con il Ddl Coltiva Italia, il Governo ha ascoltato l'appello degli allevatori e produttori italiani, scegliendo di investire in modo mirato sulla linea vacca vitello".


Le risorse

Per incrementare la produzione di vitelli saranno disponibili circa 300 milioni di euro da utilizzare nei prossimi tre anni.

Saranno destinati all'acquisto di manze delle razze da carne (purché iscritte ai Libri Genealogici) o per produrre incroci utilizzando riproduttori da carne.

Quello della carenza di vitelli non è l'unico fronte sul quale intervenire. Il confronto tra produzione e distribuzione ha messo in evidenza la necessità di un nuovo patto di filiera, fondato su accordi stabili, indicatori di costo condivisi e una comunicazione trasparente su origine, benessere animale e sostenibilità.

 

C'è poi il grande capitolo della Politica Agricola Comune (Pac), dove si ravvisa la necessità di preservare la competitività del settore zootecnico nel quadro dei progetti in discussione per la riforma della Pac che ci accompagnerà dal 2028 al 2034.

In particolare si chiede di valorizzare la specificità del sistema zootecnico italiano, fra i più virtuosi in tema di benessere animale e di impatto ambientale.

Timore poi per le proposte di rinazionalizzazione delle risorse come pure per l'applicazione del Regolamento Europeo sulla Deforestazione, che potrebbe condizionare le importazioni di materie prime per l'alimentazione del bestiame.


Il dibattito

Ricco di indicazioni il dibattito che ha animato il congresso di Assocarni, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti del mondo produttivo e di quello politico.

In più di un'occasione è stato ribadito il ruolo sociale oltre che economico dell'allevamento, ad esempio nelle aree marginali, dove svolge un ruolo cruciale come presidio del territorio, contrastando spopolamento, abbandono e degrado ambientale.

 

Non sono mancate critiche alle politiche decise da Bruxelles, condizionate troppo spesso da una visione distorta della zootecnia.

È stato ricordato che quella europea, e in particolare quella italiana, è una "formula" di allevamento fra le più virtuose in termini di efficienza, benessere animale e basso impatto ambientale.


Gli ostacoli

In conclusione, la ricetta per garantire un futuro di crescita per l'allevamento del bovino da carne si fonda prevalentemente su tre pilastri: linea vacca vitello, politiche comunitarie di sostegno, accordi di filiera che coinvolgano la distribuzione organizzata.

 

Se si guarda indietro si scopre però che i premi alle vacche nutrici ("antenati" della linea vacca vitello) dei lontani anni '80 e '90 non hanno dato buoni frutti.

Nel frattempo Bruxelles ha "demonizzato" la zootecnia attribuendole improbabili responsabilità ambientali.

Nemmeno i tanti buoni propositi di accordo con la distribuzione organizzata hanno avuto successo.

Il passato non indurrebbe all'ottimismo. Ma questa volta, almeno, ci sono i 300 milioni destinati a chi produrrà vitelli. Speriamo siano sufficienti.