Ci risiamo con l’influenza, questa volta dei suini. Dopo quella dei polli proveniente dalla Cina, annunciata come una imminente catastrofe mondiale, questa volta è dal Messico che si presenta la nuova “pestilenza” del secolo. Anche in questa occasione si evoca la terribile pandemia di “Spagnola” del 1918 che fu responsabile di molte vite. Virologi e cultori delle materie statistiche sono inclini al pessimismo e già per l’influenza aviare lanciarono moniti sulla possibilità di una nuova pandemia. Sarà anche per questo che ad ogni starnuto di pollo, oca e cigno e ora anche di suino, il mondo ha un sussulto di allarme. Un po’ di attenzione su questi argomenti è doverosa, una quota di rischio è plausibile e deve indurre a sani principi di cautela. Senza però farsi prendere la mano lanciando insensate (e dannose) grida di allarme. Speriamo che l’inutile allarmismo di vacca pazza prima e di influenza aviare poi abbiano insegnato qualcosa.

 

Influenza, questa sconosciuta

Ma vediamo di conoscere un po’ più da vicino l’influenza dei suini e i suoi rapporti con quella dell’uomo. Il responsabile è un virus della famiglia degli Orthomyxoviridae che fra le sue caratteristiche annovera la capacità di un riassortimento genetico frequente. Tre i tipi di influenza identificati con le lettere A, B e C in funzione della loro capacità di colpire l’uomo e altre specie. Il tipo A si ritrova nell’uomo, nel suino, negli equini e nei volatili, il tipo B colpisce solo l’uomo e il C ha affinità sia per l’uomo, sia per il suino. Esiste poi una vasta serie di sottotipi che si differenziano per la natura dell’emoagglutinina e della neuroaminidasi identificate rispettivamente con le sigle H ed N seguite da un numero. Il tipo A è quello che riscontra con maggiore frequenza nell’uomo e nel suino e per l’allarme partito dal Messico il sottotipo evidenziato è l’H1N1, che è anche quello di più frequente riscontro quando si hanno casi di influenza suina. Classiche le sue manifestazioni cliniche, con rialzo termico, rinite, congiuntivite, sintomi però generici e la diagnosi corretta richiede l’intervento del laboratorio. Il contagio fra gli animali avviene per solito con il contatto diretto e l’ingresso del virus in allevamento è per lo più legato alla movimentazione degli animali, come avviene per molte altre patologie. Anche per questo gli allevatori italiani sono avvezzi a prestare grande attenzione sia all’arrivo di nuovi soggetti, sia all'ingresso di persone e mezzi che potrebbero veicolare questa od altre malattie. Queste misure di biosicurezza sono sufficienti ad evitare la malattia in condizioni di normalità. In caso di emergenze la strada della vaccinazione è aperta.

 

Inutile allarmismo

Le ottime condizioni samitarie dei nostri allevamenti invitano a non fare allarmismo, tanto più che la trasmissione della malattia non avviene attraverso le carni di suino, ma semmai da uomo a uomo dopo l’adattamento del virus a quest’ultimo. Vale la pena ricordare che già nel 1976 negli Usa venne segnalato un caso di malattia nell’uomo (ad esito infausto) con un sottotipo H1N1 presente anche nei suini, al quale fecero seguito infezioni in almeno 500 persone che però superarono senza conseguenze l’infezione. Potremmo essere di fronte ad una situazione analoga e se dunque è opportuno prestare attenzione, è fuor di luogo lanciare allarmi ingiustificati. Da parte del ministero della Salute arriva peraltro la rassicurazione che l’Italia dispone di un piano concordato con gli altri Paesi della Ue per far fronte ad una eventuale pandemia influenzale.

 

La parola ai produttori

Nessun motivo dunque per dubitare delle carni suine, specie se di provenienza italiana, come evidenzia il presidente dei suinicoltori italiani (Anas), Giandomenico Gusmaroli, che giusto una settimana fa, dal podio della Rassegna suinicola di Reggio Emilia aveva invitato a valorizzare il Made in Italy in campo alimentare e suinicolo in particolare. “Dal Messico – ha dichiarato Gusmaroli – arriva l’ennesima dimostrazione di come le nostre richieste siano prioritarie e nell’interesse di tutti”.

Sulla qualità delle produzioni italiane interviene anche la Cia che ricorda come nel nostro Paese ci siano rigidi e rigorosi controlli che permettono di individuare immediatamente qualsiasi tipo di infezione, mentre gli allevatori hanno compiuto notevoli investimenti sul fronte qualitativo che garantiscono la massima sicurezza animale e alimentare. Sulla stessa lunghezza anche Confagricoltura che sottolinea come oltre ai controlli anche l’assenza di importazioni di suini dalle aree del centro America sia un ulteriore elemento di rassicurazione.