I terpeni sono idrocarburi prodotti naturalmente da alcune piante come l’eucalipto (Eucalyptus sp.), il terebinto (Pistacia terebinthus) e le conifere. Sono costituiti da uno o più gruppi isoprenici (C5H8) per cui formano catene di atomi di carbonio multipli di 5.

I terpeni sono i principali componenti della resina delle conifere e della trementina, solvente ottenuto in passato dalla distillazione della resina ed attualmente dal petrolio. La parola terpene deriva proprio da Terpentin in tedesco, o da turpentine in inglese, parole a loro volta derivate dal greco terebinthine, appunto dall’albero resinoso terebinto, dalla cui resina si ricavava nell’antichità la trementina. L’interesse nei terpeni è in crescita, in particolare per il bisabolene, un sesquiterpene (15 atomi di C) con caratteristiche quasi identiche al gasolio ma con un punto di congelamento inferiore, che lo rende attraente per l’industria aeronautica. Non è da stupirsi dunque che la Forza aerea degli Usa, dopo il vicolo cieco del biodiesel da alghe, abbia indirizzato il suo budget per la ricerca verso la produzione a scala industriale di bisabolene. La filiera più promettente, secondo i ricercatori della Berkeley University, è quella biotecnologica. Si parte da zuccheri, ottenuti mediante saccarificazione dei residui lignocellulosici (come si fa già per la produzione di bioetanolo di seconda generazione) fermentati con batteri (Escherichia coli) o lieviti (Saccharomyces cerevisiaegeneticamente modificati. Con questo metodo biotecnologico sarebbe dunque possibile ottenere grandi quantità di bisabolene a basso costo.

Pur essendo il bisabolene un sostituto accettabile del gasolio per usi civili, i militari demandano maggiore densità di energia (cioè maggiore potere calorifico inferiore) per gli aerei, e in questo senso i tre doppi legami presenti nella molecola costituiscono uno svantaggio. Per aumentare la densità energetica del bisabolene si prevede la sua trasformazione industriale in bisabolano, un idrocarburo saturo o alcano, mediante un processo chimico, l’idrogenazione, largamente utilizzato nell’industria. Nel futuro si ipotizza di poter realizzare l’idrogenazione per via enzimatica. La produzione attuale di terpeni per via batteriologica è già condotta in Brasile (presumibilmente con zucchero da canna, quindi tutt’altro che sostenibile e palesemente per scopi militari!) dalla Amiry, una società statunitense che ha ingegnerizzato batteri capaci di produrre farnesene, un sesquiterpene con formula bruta C15H24, come il bisabolene, ma con una struttura molecolare diversa. La marina militare statunitense ha già un brevetto per un processo di modificazione molecolare che consentirebbe di aumentarne ulteriormente la densità energetica, ottenendo un combustibile simile al JP-10, utilizzato dai missili e quindi indipendentemente dal tipo di terpene disponibile.

È interessante osservare come la famiglia di piante maggiormente produttiva di terpeni è l’eucalipto (Eucalyptus sp.). L’80% degli oli essenziali dell’eucalipto sono composti da eucaliptolo, un terpenoide contenente ossigeno (formula brutta C10H18 O). Si tratta però di un ingrediente di alto valore per l’industria farmaceutica, cosmetica ed alimentare, per cui non sembra ragionevole proporlo come un possibile biocarburante, da vendere a basso prezzo.       
Inoltre, la presenza di ossigeno abbassa il suo potere calorifico rispetto ad un terpene vero. Nonostante ciò, nell’Oak ridge national laboratory di Tennessee negli Usa, il dott. Gerald Tuskan sta lavorando per incorporare geni di eucalipto in alberi a rapida crescita, come il pioppo (Populus sp.) e perfino erbe come il panico (Panicum virgatum) in un progetto finanziato dalla Us Air Force.

Lasciando stare la classica paranoia bellica dello zio Sam, è giusto domandarsi: ha senso tutto questo spiegamento di “forza bruta biotecnologica” per produrre una variante del biodiesel?

In questa sponda dell’Atlantico, i leader nella produzione dei terpeni sono i finlandesi, dove la Biofore, azienda controllata dall’industria cartiera Upm, lo estrae in modo sostenibile dai residui della produzione di carta e cartone da conifere. Attualmente la Biofore possiede un impianto con capacità per produrre fino a 113.500 m3/anno di biodiesel da terpeni di conifere.

Nel Mediterraneo, il potenziale per la produzione dei terpeni sembra ancora inesplorato, ma potrebbe essere molto alto considerando che il terebinto è una pianta autoctona, che non richiederebbe dunque particolari accorgimenti colturali. Il terebinto è una anacardiacea, cioè della stessa famiglia dell’anacardo, e viene già utilizzato in Sicilia come portainnesto per la coltivazione del pistacchio. La resina, dalla quale ricavare poi i terpeni, si estrae dalla corteccia, per cui, con una gestione sostenibile della piantagione, sarebbe possibile ricavare: le bacche, utilizzate in alcune specialità gastronomiche; del legno duro per ebanisteria; la corteccia, dalla quale distillare i terpeni, e della biomassa residua da utilizzare come combustibile primario per il processo di distillazione.

Albero di terebinto carico di bacche rosse
Fonte foto: Monte Linas

Inoltre, nel nostro Paese è molto diffuso il pino marittimo (Pinus pinaster) il cui nome spagnolo pino resinero, dovrebbe già darci qualche indizio sulla sua potenzialità nella produzione di biocarburanti. La produzione della resina e dei suoi derivati (colofonia -nota come additivo alimentare E915- e trementina) fu un’industria fiorente in Spagna dal XVII secolo fino agli anni ’70 del XX secolo, cannibalizzata dalla crescente produzione in Cina a partire dagli anni ’80. Secondo il blog della comunità segoviana di Vallelado, l’unica distilleria di resina rimasta operativa è quella della Unión Resinera. Dal pino si ricavavano inoltre infinità di sottoprodotti, tra i quali la corteccia, che veniva utilizzata dai resineros, i boscaioli e i contadini locali, per riempire intercapedini a modo di isolante termico naturale delle loro capanne. La produttività di una pineta non è di certo elevatissima come quella di un impianto biotecnologico con batteri geneticamente modificati, ma in questi tempi in cui si cerca disperatamente di creare posti di lavoro, le pinete potrebbero rappresentare al meno un secondo reddito per le famiglie.
Ad esempio, il pino domestico (Pinus pinea) rende meno resina per ettaro rispetto al pino marittimo, ma produce i deliziosi pinoli, per cui diventa il candidato ideale per una gestione razionale delle pinete secondo una logica di economia circolare: produzione alimentare di alta qualità (pinoli, melata di bosco) e sottoprodotti energetici (resina, dalla quale ricavare lcolofonia, trementina e biomassa residua).

Secondo un articolo del 2010 pubblicato dal giornale spagnolo Expansión, in Colombia è già stato collaudato un sistema di purificazione della trementina (inventato da un italiano!) che consente di utilizzarla al posto della benzina senza dover modificare il motore. Un singolo pino produrrebbe da 500 ml/anno fino a 1 litro/anno di trementina per cui basterebbero fra 2000 e 2500 pini (fra 1,5 e 2 ettari) per consentire ad una famiglia di autoprodursi tutta la benzina per una utilitaria con percorrenza media pari a 15.000 km/anno.

Un altro terpene esistente nel bacino del Mediterraneo è il limonene, un monoterpene (formula bruta C10H16, quindi con caratteristiche intermedie fra la benzina ed il gasolio) presente nella buccia degli agrumi. Secondo la tesi di laurea della dott.ssa Silvia Interlandi, in Italia si producono fra 500.000 e 600.000 t/anno di pastazzo d’agrumi, residuo della produzione di succhi e bevande. Gli oli essenziali, composti al 95 % da limonene, rappresentano solo lo 0,5% del pastazzo, cioè la produzione potenziale di terpeni da questo residuo agroalimentare si aggira attorno alle 2500 t/anno, troppo poco per giustificarne la produzione massiva a scopo energetico.

Secondo uno studio del Cra-Plf (Selezione di cloni di eucalitto per la destinazione da biomassa, G. Mughini, L. Rosso e S. Bergante) le migliori varietà clonali di eucalipto, coltivati ad alta densità e con ceduazione ogni tre anni (short rotation forestry) arrivano a produrre fino a 27 ton/ha·anno, mentre la specie campione E. camaldulensis produce non più di 12,8 t/ha·anno. I terpeni sono concentrati maggiormente nelle foglie per cui la loro estrazione potrebbe rappresentare un interessante reddito addizionale alla produzione di biomassa legnosa.