Giovedì scorso il Parlamento Europeo ha provato con una maggioranza di oltre il 95% la posizione da tenere nel trilogo con la Commissione e il Consiglio Ue, che inizierà in settimana, su uno dei temi cruciali della Politica Agricola Comunitaria: il Regolamento dei Prodotti Dop e Igp. La proposta di riforma è stata articolata all'Europarlamento da Paolo De Castro, già ministro dell'Agricoltura nei Governi Prodi e profondo conoscitore di economia e politica agraria.

 

Fra le novità introdotte nella proposta di riforma del Regolamento sulle Indicazioni Geografiche c'è il divieto di registrare menzioni tradizionali che possono essere identiche o evocative di nomi di Dop o Igp. Tanto per essere chiari, prendendo due casi che hanno preoccupato e non poco l'Italia, il caso del Prošek croato e dell'Aceto Balsamico sloveno e cipriota, scenari non più ripetibili - fortunatamente - in futuro. Il sistema delle Dop e Igp funziona, ha dato identità ai territori, incentivato gli agricoltori a produrre e a garantito loro, mediamente, un valore aggiunto superiore rispetto a produzioni anonime. È il caso, se vogliamo fare due esempi lampanti, dei formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano, che da anni garantiscono agli allevatori remunerazioni superiori del latte prodotto rispetto ad altre destinazioni. Ma vale anche per quei prodotti che possiamo considerare di nicchia, che attraverso i marchi Dop e Igp possono dare identità e (almeno teoricamente) adeguata remuneratività a produzioni esigue in termini numerici.

 

Allo stesso tempo, se ci sono una storia, un'identità, una tradizione, metodi produttivi riconosciuti e consolidati, è opportuno, come oggi avviene in un paniere europeo di circa 3.500 voci (delle quali quasi novecento italiane), garantire un'adeguata protezione. Il nuovo Regolamento introduce, ricordiamo, l'obbligo di indicare sull'etichetta di qualsiasi prodotto Dop e Igp il nome del produttore e, per i prodotti Igp, l'origine della materia prima.

 

I prodotti trasformati che contengono un ingrediente di una Indicazione Geografica Protetta non potranno essere denominati con il nome della Igp, a meno che non sia consentito dai produttori di quella indicazione geografica stessa. La tutela aumenta anche in uno scenario commerciale che è cresciuto particolarmente negli ultimi tre anni, spinto dai lockdown imposti per proteggersi nelle fasi più acute della pandemia, e cioè il web.

 

Tutti i domini che utilizzano il nome di una Igp senza averne il diritto dovranno essere automaticamente chiusi o assegnati a un gruppo di produttori che utilizza l'Indicazione Geografica Protetta in maniera trasparente e legale. Il Parlamento Europeo chiede che venga istituito un sistema di allerta per monitorare la registrazione dei nomi di dominio e rendere più efficaci e tempestivi gli interventi di protezione.

 

A garanzia della trasparenza è prevista nella proposta della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo l'indicazione in etichetta dell'origine delle materie prime dei prodotti a indicazione geografica, quando per oltre il 50% arrivano da un Paese diverso da quello di origine del prodotto. Ed è prevista anche la necessità di richiedere una autorizzazione al consorzio di tutela, nel caso di utilizzo di prodotti Dop e Igp come ingredienti di altri prodotti trasformati, oltre all'obbligo di indicare in etichetta il nome del produttore.

 

Sono passi avanti significativi per l'Unione Europea, in particolare per l'Italia, che è leader in Europa con 883 prodotti Dop e Igp tra alimenti e vini, seguita da Francia e Spagna. Solo in Italia, le indicazioni geografiche muovono un giro d'affari intorno ai 19 miliardi di euro e annoverano prodotti che rappresentano al meglio la biodiversità del made in Italy e possono dirsi a ragione ambasciatori dell'Italia a tavola.

 

Allo stesso tempo, dovrebbero servire politiche di rafforzamento per rilanciare i consumi in Italia e le esportazioni al di fuori dei confini nazionali. Le modalità possono essere le più diverse, purché si individuino azioni coordinate, Paesi target, aree geografiche nelle quali potenziare l'export o nelle quali definire nuove strategie commerciali. In che modo? Magari alleandosi. I tedeschi, in questo, sono maestri, pur non potendo contare su prodotti di altrettanto riconosciuto appeal come quelli italiani. Ma anche i francesi, attraverso il coordinamento di Sopexa - creata addirittura nel 1961 per promuovere l'agroalimentare made in France - sanno come muoversi in maniera sinergica, senza improvvisare, ma orchestrando strategie in cui si presentano in missione all'estero consorzi e produttori alleati fra loro e non in guerra, offerte produttive differenti, ma di qualità, istituti bancari e assicurativi, logistica e distribuzione, così da garantire affidabilità nelle operazioni di import-export.

 

Ci lamentiamo dell'agropirateria, dell'italian sounding e della contraffazione, giustamente. Ma potremmo copiare qualche soluzione che funziona, così da proporre modelli vincenti per sostenere le nostre produzioni. O no?