Il nome Huawei era sconosciuto ai più fino a pochi anni fa, ma notissimo fra le grandi società di telecomunicazione in tutto il mondo. Sono infatti marcati Huawei le antenne, i ponti radio, le centrali, i gateway di moltissime reti di comunicazione cellulare. Mentre focalizzava tutte le proprie energie per diventare un gigante del settore, Huawei si dedicava anche alla produzione di smartphone per conto terzi. Molti modelli dei brand più noti erano infatti realizzati in stabilimenti del gigante cinese, senza però che ne comparisse, in nessuna parte, il nome.

Da qualche anno a questa parte, invece, Huawei deciso di cambiare strategia, puntando in modo deciso su una serie di propri modelli, tutti di buona qualità, estetica accattivante e prezzi abbordabili. In pochissimo tempo è diventata leader a livello mondiale, raggiungendo oggi il terzo posto.

Evidentemente, però, telefonini e antenne non bastano. È arrivato il momento anche di dedicarsi alla ricerca, allo sviluppo, alla valorizzazione dei mercati su cui si lavora, allo sfruttamento delle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie della telecomunicazione.

È con questo spirito che Tim e Huawei a febbraio 2018 hanno firmato un memorandum of understanding per avviare una collaborazione che ha portato a luglio all'apertura a Catania di un Business innovation center dedicato all'internet of things e all'applicazione di tecnologie NB-IoT.

I principali ambiti di applicazione di questo accordo sono quattro: parcheggi intelligenti (smart parking), misurazione smart delle perdite idriche e della luce (smart metering), prevenzione degli incendi (smart smoke detection) e gestione di zootecnica innovativa (connected cows - mucche connesse).
L'investimento di 3 milioni di euro in tre anni è tutto sommato minimo per giganti della stazza di Tim e Huawei, ma dovrebbe consentire di sviluppare un ecosistema sul territorio di circa trenta startup e piccole e medie imprese innovative, per orientare gli studenti verso le nuove tecnologie con l'obiettivo di generare nuovi posti di lavoro. Il nuovo Bic sarà localizzato presso Tim Wcap Catania (l'hub di open innovation di Tim attivo in Sicilia dal 2013).

L'annuncio di Tim e Huawei è un segnale forte, con numerose chiavi di lettura. Come anticipato, agricoltura e ambiente sono al centro delle attenzioni dell'accordo, soprattutto con la sezione "connected cows", anche se, data la localizzazione siciliana, sarebbe stato preferibile dare priorità a progetti di orticoltura o agrumicoltura. In ogni caso, ogni volta che si parla di Internet of Things, il settore primario è al centro delle attenzioni degli investitori e dei progettisti, almeno come aspettative.

Il secondo aspetto importante è legato invece alla politica che evidentemente Huawei sta cercando di assumere per legarsi ai territori in cui opera. Non più un semplice venditore di antenne o di smartphone, anche se di alto livello, ma piuttosto un integratore di soluzioni informatiche e un promotore di nuove tecnologie, con particolare attenzione ai giovani. Da notare che, mentre in Europa Huawei è diventata rapidamente uno dei leader di mercato, sta incontrando grosse difficoltà in altri paesi, soprattutto Usa e Australia, dove i governi hanno attuato politiche particolarmente rigide di protezione dei mercati, con la scusa della sicurezza nazionale. Ad esempio, negli Stati Uniti nessun operatore di telefonia mobile ha a catalogo telefonini Huawei, anche perché poi non potrebbe venderli agli uffici governativi. Facile immaginare che in Europa, dove ci sono obiettivamente meno ostacoli, Huawei voglia costruire anche un ecosistema favorevole, con accordi del tipo di quello con Tim.

L'ultima chiave di lettura, in questo momento anche la più interessante, è legata alla promessa di focalizzare le attività sulle tecnologie NB-IoT (o, per esteso, NarrowBand Internet of Things). Di cosa si tratta esattamente?
Le reti di comunicazione fra dispositivi mobili si sono concentrate in questi anni sulla trasmissione di grandi quantità di dati. Che si tratti di voce, fotografie o video, per trasmettere da un telefonino di ultima generazione alla rete internet si hanno in genere invii di molti byte. Tanto è vero che passando dalla seconda alla terza, alla quarta generazione, è di volta in volta aumentata la capacità di inviare bit per secondo. Che in ogni caso sono sempre tantissimi. I modelli più recenti di tablet con tecnologia Lte di quarta generazione potrebbero teoricamente trasmettere a 300 Mbps, equivalenti ad un filmato in pochi secondi. Tutto questo viene però a scapito della energia necessaria per la trasmissione. Anche gli smartphone più recenti hanno batterie che non durano più di uno, al massimo due giorni, e alle volte molto meno se si tengono accesi contemporaneamente tutti gli apparati disponibili (Bluetooth, wi-fi, Gps, connessione dati ecc.). Inoltre, ognuno di questi dispositivi mobili è dotato di una propria Sim, di un proprio codice di autenticazione inserito su una schedina fisica.

Quando invece passiamo all'Internet of Things, trasmettere tanti dati non serve più. Se devo inviare i valori di un senso di temperatura, mi serve comunicare in pochi byte, e non in megabyte per volta. Invece, la durata della batteria è un vincolo essenziale. Quanto più lungo è il periodo fra una ricarica e l'altra, tanto meglio. Nel caso ottimale, addirittura non dovrebbe essere prevista nessuna ricarica, nel senso che la durata del dispositivo dovrebbe essere identica alla durata della batteria. È un totale rovesciamento dei principi su cui si è lavorato in questi anni, per i quali la durata della batteria di pochi giorni era un vincolo accettabile, purché si potesse inviare e ricevere grandi quantità di informazioni. Inoltre, la Sim fisica è inutile e di complessa gestione. Perché allora non virtualizzarla?

Qui entrano in gioco i Lpwan (Low power wide area networks), fra cui NB-IoT, su cui proprio la collaborazione fra Tim e Huawei sarà focalizzata. 
Le caratteristiche di una rete Lpwan sono la trasmissione a grande distanza, il limitato numero di dati trasferiti e il modesto consumo della energia presente nella batteria. Attualmente esistono due tecnologie in grado di rispondere in modo adeguato queste esigenze: Sigfox e LoRaWAN.

Sigfox è un sistema proprietario gestito da una società privata che installa antenne riceventi, in modo più o meno simile ad una qualunque compagnia di telefonia mobile. Le antenne ricevono i dati da strumenti di misurazione quali contatori o sensori in parcheggi, in frequenze a 868 or 915 MHz. I dati sono inviati in pacchetti molto piccoli, da appena 12 byte. Si generano così messaggi lunghi e lenti, ma che hanno grandi possibilità di essere ricevuti anche a distanza. Trasmettitori Sigfox sono presenti in tantissimi sistemi di lettura a distanza dei contatori elettrici o del gas, e anche in alcune capannine agrometeorologiche. Non hanno bisogno di una Sim, e hanno un modesto consumo della batteria.

LoRaWAN è invece un sistema aperto, secondo uno standard definito da LoRa Alliance. Questo garantisce che vi siano più fornitori di antenne e software, e il roaming fra reti diverse (più o meno come avviene per le reti dei cellulari). In Italia sono già presenti reti LoRA, anche se con diffusione ancora non uniforme.

NB-IoT sfrutta invece frequenze a 200 MHz o frequenze utilizzate da vecchie reti Gsm, ha consumi minimi di energia e un buon grado di penetrazione del segnale radio all'interno di edifici. E, soprattutto, è uno standard relativamente nuovo, poco blindato da brevetti (come nel caso di Sigfox) o eccessivamente aperto (come nel caso di LoRaWAN).

Difficile capire quale standard vincerà, o se potranno coesistere tutti quanti. In ogni caso le tecnologie per lavorare con l'IoT in agricoltura esistono. Adesso, avanti tutta con le applicazioni.

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