Giusto due anni fa, nell'aprile del 2010, il mondo del latte sussultava alla notizia che un'indagine dei Carabinieri, promossa dall'allora ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia, aveva messo in dubbio la correttezza dei dati sulla produzione del latte in Italia. Le conseguenze, se i gli accertamenti fossero stati confermati, non erano di poco conto. Tutto il sistema delle quote latte e delle multe poteva essere messo in discussione. Non solo stop alle multe, ma rimborsi a chi le aveva pagate e contenziosi a non finire per chi le quote le aveva comprate per mettersi in regola. Insomma una “bomba” della quale anche Agronotizie si era occupata. Poi la “smentita” dagli uffici del Mipaaf, che confermava la correttezza dei numeri ufficiali, e dunque delle quote e delle multe, così come erano state calcolate.

 

Il caso si riapre

Ma ora la partita si riapre dopo la pubblicazione su “Italia Oggi” di alcune anticipazioni di un documento depositato agli atti di un processo del quale il Tribunale di Roma inizierà a dibattere nel prossimo ottobre. Stando a queste anticipazioni, alla relazione dei Carabinieri sarebbe stato imposto il silenziatore per evitare una “figuraccia” con Bruxelles, cosa che avrebbe anche potuto mettere in discussione l'aumento immediato della quota nazionale concesso all'Italia, altrimenti diluito in cinque anni. Insomma una scelta politica, a dispetto delle contraddizioni dei numeri emersi dall'indagine. Questa la conclusione che se ne potrebbe trarre.

 

Le conseguenze

E adesso? Immaginare che il sistema delle quote latte possa essere rimesso in discussione dalle sue fondamenta appare un'ipotesi improbabile. In compenso gli allevatori che contestano le quote e le multe hanno qualche ragione in più da far valere. Ma resta aperto un altro capitolo. Se i dati dell'indagine dei Carabinieri corrispondono al vero, una parte del latte “nazionale” non sarebbe uscito dalle vacche italiane. E' questo un altro capitolo che potrebbe allora riservare più di una sorpresa. Sempre che non prevalga la “ragion di Stato”.