Assosementi, con l’approssimarsi delle nuove semine, avverte gli agricoltori sui rischi cui andrebbero incontro, nel caso in cui ricorressero all’uso di seme “fai da te”. Il seme di soia riprodotto in azienda non fornisce, infatti, garanzie all’agricoltore in termini di purezza, germinabilità e certezze sull’origine.
Inoltre, in quanto non conciato, non offre protezione dagli organismi nocivi in fase di germinazione, con gravi ripercussioni sulla resa e quindi sulla redditività della coltura.
Negli ultimi anni sono stati segnalati casi di attacchi di Diaporthe spp, un patogeno che attacca lo stelo della pianta compromettendo l’intera produzione, ma che può essere efficacemente combattuto utilizzando seme selezionato, certificato e conciato. Secondo le stime della Sezione colture industriali di Assosementi, nel 2015, il fenomeno dell’impiego di seme non certificato ha interessato 50mila ha sui 330mila coltivati.

“Oltre a rappresentare una pericolosa via di propagazione di patogeni, è bene ricordare che la vendita, l’acquisto e lo scambio di sementi non certificate o auto riproduttive, sono attività illegali”, denuncia Assosementi. In base alla normativa sementiera italiana ed europea, infatti, le sementi di soia commercializzate devono essere ufficialmente certificate e l’attività di selezione e certificazione della granella è consentita alle sole ditte sementiere in possesso di regolare autorizzazione.

Le aziende sementiere italiane sono impegnate a fornire ogni anno sementi di soia con un elevato grado di innovazione, appositamente prodotte e controllate per l’uso e l’ambiente di coltivazione cui sono destinate.
Negli ultimi anni la soia ha vissuto un vero e proprio boom e le ditte sementiere hanno saputo cogliere l’occasione aumentando le superfici adibite alla produzione di sementi. Nella stagione 2015 la moltiplicazione delle sementi di soia ha interessato, in Italia, una superficie decisamente superiore a quella dell’anno precedente (12mila ettari contro i 9.800 del 2014; dati Crea-Scs).