Dopo il comunicato ufficiale del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano che ha ribadito la contrarietà dell'ente a riportare gli alveari sull'isola di Giannutri (Gr), abbiamo deciso di approfondire la questione andando a intervistare i vertici stessi del Parco.

 

L'anno scorso infatti il Parco ha rifiutato l'autorizzazione all'azienda La Pollinosa di portare degli alveari sull'isola, per le attività di selezione e conservazione di api regine della sottospecie Apis mellifera ligustica; autorizzazione che invece era stata rilasciata ogni anno fin dal 2019.

 

Una decisione presa sulla base di studi che indicavano una competizione tra le api da miele e due specie di apoidei selvatici dell'isola e la riduzione delle popolazioni di queste due specie.

 

Una decisione che ha portato ad un acceso dibattito nel mondo apistico e in quello scientifico, oltre ad un ricorso al Tar da parte dell'azienda apistica, ricorso che è stato vinto dal momento che il Parco non ha seguito le procedure previste per la revoca del permesso.

 

Così abbiamo intervistato  l'ex presidente Giampiero Sammuri, biologo e amministratore pubblico, alla guida del Parco dal 2012, il cui mandato è scaduto da pochi giorni, ma che era in carica durante tutta la vicenda.

 

Nel comunicato stampa che avete diffuso ribadite la vostra contrarietà come ente a riportare le api da miele a Giannutri. Ma come verrà rispettata la sentenza del Tar, dal momento che l'autorizzazione a portare le api sull'isola era limitata la periodo dicembre 2024 giugno 2025?
"Il Parco ha preso atto della sentenza ritenendola corretta, dal momento che è stato commesso un errore procedurale. La sentenza però di fatto non può essere applicata perché l'autorizzazione richiesta sarebbe comunque finita a giugno. Nel caso arrivasse una nuova richiesta, verrà esaminata e sicuramente riscontrata senza errori procedurali ma il merito non è stato messo in discussione".

 

Nella sentenza si fa riferimento anche al fatto che l'apicoltura nomade sia un'attività libera dal punto di vista amministrativo, cosa su cui il Parco non ha mai fatto obbiezioni, e con cui, come è specificato nella sentenza stessa, concorda con l'azienda tanto da non essere oggetto del ricorso. Non c'è quindi una contraddizione con il rifiuto dell'autorizzazione?
"No, non c'è nessuna contraddizione. Anche nuotare in mare, pescare, tagliare il bosco o fare agricoltura sono attività libere dal punto di vista amministrativo, ma in un parco ci sono delle zone in cui non si possono svolgere queste attività. E questo vale anche per altre attività, apicoltura compresa. 
E a conferma che non ci sia una contraddizione c'è anche il fatto in più della metà del territorio dell'arcipelago, per la precisione sul 63% del territorio, l'apicoltura può essere praticata e viene praticata".

 

Ma allora perché negli scorsi anni l'autorizzazione era stata data? Fermo restando che un'autorizzazione annuale non può costituire un diritto acquisito.
"Era stata data per una questione scientifica. Il Parco sta portando avanti un progetto di studio e monitoraggio degli impollinatori dell'Arcipelago, ed era interessante vedere come e se le api da miele potessero avere un impatto in un ambiente particolare come Giannutri. E ora abbiamo visto che l'impatto c'è e pertanto non abbiamo autorizzato nuovamente tale attività che è sempre stata annuale e provvisoria. E, come dice anche lei, un'autorizzazione provvisoria non può costituire un precedente o un diritto acquisito".

 

Visto che l'apicoltura è presente anche su altre isole, anche lì sono stati fatti studi sul rapporto tra apoidei selvatici e api da miele?
"In generale no, anche perché le tre isole maggiori (Elba, Giglio e Capraia) non sono interamente parco e quindi avrebbe poco senso".


C'è stata molta polemica sul fatto che a Giannutri sia autorizzato l'uso di trattamenti antizanzara. Con cosa sono stati fatti questi trattamenti? E dal momento che si vuole tutelare delle popolazioni di insetti, l'uso di insetticidi per quanto limitato, non è di per sé un controsenso?
"Vengono autorizzati trattamenti solo limitatamente alle zone abitate e con principi attivi ammessi per l'uso nei centri abitati. A Pianosa, ad esempio, abbiamo un problema simile con le zecche e vengono autorizzati trattamenti limitati nelle zone del paese.

 

Non è escluso che nel caso di Giannutri ci possa essere un impatto sugli apoidei selvatici, è una tematica sicuramente da studiare e ritengo che se si avessero evidenze che questi trattamenti abbiano un impatto significativo sulle popolazioni di apoidei che stiamo tutelando, andrebbero vietati".

 

E al momento ci sono studi in proposito?
"Al momento no, ma in prospettiva dovrebbero essere messi in programma".


Il Parco ha un regolamento specifico per l'apicoltura sul suo territorio?
"No, al momento non ce l'ha, ma sono state elaborate delle linee guida specifiche da parte di ricercatori dell'Università di Pisa e di Firenze".

 

E in questo lavoro di regolamentazione c'è un dialogo e un confronto con le associazioni apistiche?
"Sì, certamente. Le bozze delle linee guida elaborate dai ricercatori sono state inviate ai rappresentati delle associazioni apistiche per le osservazioni, osservazioni che ci sono state presentate nelle settimane scorse e sono alla valutazione degli esperti".

 

L'azienda La Pollinosa su Giannutri stava portando avanti anche un programma di conservazione della sottospecie Apis mellifera ligustica, che è a rischio di erosione genetica e da molti, me compreso, è considerata selvatica. Il Parco non potrebbe diventare un partner per un progetto di questo tipo e promuovere attività del genere sul suo territorio?
"Sicuramente. Ma da quello che abbiamo visto Giannutri è il posto peggiore per farlo. C'è un restante 63% del territorio del Parco in cui si può fare e dove si fa apicoltura e lì sarebbe sicuramente possibile portare avanti progetti di questo tipo. Praticamente apicoltura si può fare in tutto il Parco ad eccezione delle zone A a riserva integrale e nelle zone B a riserva generale".

 

Ma il problema è che progetti di questo tipo devono essere fatti dove non si fa apicoltura, per garantire isolamento e evitare contaminazioni genetiche.
", lo so bene. Ma in alcune realtà del Parco l'attività apistica è molto limitata. A Capraia ad esempio ci sono solo due aziende apistiche su un territorio ristretto. Con un buon coordinamento tra gli apicoltori e le loro associazioni, si potrebbe riuscire a raggiungere un grado di isolamento e di omogeneità genetica adeguato".

 

Attualmente Giannutri è diventata un laboratorio per lo studio delle interazioni tra api da miele e apoidei selvatici. Ma se continuando negli studi, si osservasse che il declino degli apoidei continuasse anche senza alveari, e che quindi non sono gli alveari la causa del loro declino, potrebbero essere riammessi?

"Le cause del declino di specie animali e vegetali sono molteplici e, sicuramente, sul declino degli apoidei a Giannutri la competizione con le api domestiche non è l'unica causa. Ma è anche una di quelle più facilmente rimovibile, sicuramente molto di più del cambiamento climatico per citarne una.

 

Per fare un esempio su una specie che conosco meglio, i fattori che minacciano la berta minore sono vari, ma aver eradicato il ratto che predava pulli e uova nel sito principale di nidificazione della specie nell'Arcipelago toscano, l'isola di Montecristo, ha aiutato molto la specie. Le altre cause di declino (bycatch, inquinamento, ecc.) sono sempre lì, ma non per questo non sono stati rimossi i ratti.

 

Quindi in una situazione problematica rimuovere o, in questo caso, non consentire, attività che comunque possono avere impatto, non può che aiutare gli apoidei selvatici e quindi per rispondere alla domanda, se gli apoidei selvatici a Giannutri, anche senza api domestiche, evidenziassero problemi di conservazione, sarebbe buona cosa non acuirli riammettendole. Così come se le Berte minori continuassero nel loro declino non sarebbe una buona ragione per far tornare i ratti sull'isola di Montecristo, anzi…".