Osservando invece il numero di galline ovaiole, la Lombardia con 9.327.000 capi (23%) è dietro solamente all’Emilia Romagna, che mantiene salda la leadership con 13.944.000 unità, pari al 34% su scala nazionale. Secondo posto anche con riferimento alla consistenza dei polli da carne, con la Lombardia (13.660.000, pari al 14% del totale nazionale) dietro al Veneto (31.131.000, 31 per cento).
Il valore alla produzione (anno 2014) si aggira intorno ai 490 milioni di euro per il solo segmento del pollame.
Sono alcuni dei dati - illustrati sabato scorso a Villa Fenaroli di Rezzato (Brescia), nel corso del convegno sul tema “Avicoltura lombarda: progettiamo il futuro”, organizzato dal Distretto avicolo lombardo - da Gabriele Canali, professore di Economia agraria all’Università Cattolica di Piacenza e direttore del Crefis, il Centro di ricerca delle filiere suinicole.
“Me ne sono occupato negli anni di avicoltura, contribuendo alla nascita del Distretto avicolo lombardo, seppure da direttore del Crefis – ha dichiarato Canali -. E uno dei punti in comune che hanno sia la filiera avicola che quella suinicola è che entrambe sono, da sempre, sostanzialmente escluse dai contributi della Pac. Anzi, spesso hanno pagato il prezzo del sostegno dato, specie in passato, al settore cerealicolo”.
Il progetto della Regione Lombardia
Il rilancio dell’avicoltura lombarda passa dal distretto, dall’aggregazione e da una battaglia per un marchio di garanzia, oltre all’accesso a pieno titolo nella Pac. E per farlo, la Lombardia è pronta a un percorso di dialogo diretto con l’Unione europea, insieme al supporto delle altri grandi regioni per numero di capi allevati e uova prodotto: Veneto ed Emilia Romagna.
È questo il messaggio dell’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, intervenuto in una sala gremita di allevatori e operatori della filiera avicola.
Nello specifico, l’assessore Fava ha parlato dell’opportunità della creazione di un marchio lombardo.
“È un obiettivo che, se condiviso, è perseguibile attraverso la misura 16 del Psr, magari anche in chiave di promozione e di informazione al consumatore – ha spiegato Fava -. Questo purché parta dagli operatori la volontà di adottare una strategia comune”.
Altro obiettivo annunciato dall’assessore lombardo riguarda la “verifica e l’eventuale revisione delle regole di accesso per il comparto avicolo alle misure degli investimenti della misura 4.1 del Psr sull’ammodernamento, il cui bando è in uscita per la prossima primavera, con un plafond di 250 milioni di euro”.
Ma servirà una strategia comune anche in Europa. “Lo scorso dicembre a Milano – ha ricordato Fava – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che sono le tre più importanti aree di produzione per l’avicoltura, hanno condiviso una strategia comune. Andremo avanti con la negoziazione per stabilire un criterio comune e avere nuove regole entro la fine dell’estate, in modo che dal 2017, con la seconda fase della programmazione agricola, anche il settore avicolo possa accedere alla Pac”.
Una linea condivisa anche dal presidente di Coldiretti Lombardia, Ettore Prandini, che ha invocato la necessità di interventi a medio-lungo termine per favorire il ricambio generazionale.
Le organizzazioni agricole
E anche l’ingresso nel mondo dei sostegni pubblici diventerà strategico.
“Quest’anno – ha detto Prandini - con la revisione della Pac abbiamo la possibilità di far entrare negli aiuti accoppiati due settori che fino ad oggi sono inspiegabilmente rimasti esclusi, e cioè il comparto suinicolo e avicolo. La strada è quella”.
Una linea condivisa anche dal numero uno di Confagricoltura Lombardia, Matteo Lasagna, che pone l’accento sulla necessità di “ripensare il contratto di soccida, oggi troppo squilibrato a favore dell’industria”.
“Il comparto - ha specificato il presidente del Distretto avicolo lombardo, Gianni Comati – cerca di innovare, cercando di ridurre le voci di costo, in particolare quello energetico; ma è solo facendo gruppo che si può migliorare la marginalità della fase di allevamento. Abbiamo una realtà interessante, è necessario intervenire tempestivamente, prima che i gruppi stranieri mettano gli occhi sui marchi avicoli del made in Italy, come avvenuto con il latte, l’olio e gli insaccati”.
Le opportunità, elencate dal professor Canali, ci sono, dalla “possibilità di segmentazione del mercato alla crescita dei trasformati, dagli accordi tra agricoltori e grande distribuzione organizzata alle potenzialità legate all’innovazione di prodotto, di processo e organizzativa”.