Con l'avanzare del cambiamento climatico, gli inverni si stanno facendo sempre meno freddi e questo comporta varie conseguenze sulla vita degli alveari.
Tra queste, una delle principali è il fatto che spesso la regina non smette praticamente mai di deporre uova, nemmeno nei mesi più freddi, e questo fa sì che non ci siano periodi di assenza di covata.
Si tratta di un fenomeno che prima era tipico delle regioni del Sud Italia e del Mediterraneo meridionale, ma che oggi è molto diffuso anche ben più a Nord.
E questo ha un impatto importante anche sulla vita della varroa e sulle strategie di controllo di questo acaro che rappresenta una delle minacce più importanti dell'apicoltura moderna.
Infatti, da un lato la varroa, che si riproduce nelle celle di covata delle api da miele, tende a non interrompere mai il suo ciclo riproduttivo, continuando a moltiplicarsi anche in inverno.
Dall'altro, la presenza di covata opercolata rende più difficoltosi i trattamenti antivarroa, dal momento che il principio attivo più usato in inverno è l'acido ossalico, che non è in grado di uccidere gli acari all'interno delle celle di covata opercolata.
Così si sta rendendo sempre più necessario anche in inverno cercare di garantire in modo artificiale una condizione di assenza di covata, in modo da rallentare il ciclo riproduttivo della varroa e di rendere più efficaci i trattamenti.
E una delle tecniche che sta prendendo sempre più piede è l'ingabbiamento della regina, che permette di confinare l'ape regina in una gabbietta o in una porzione dell'arnia, in modo che non possa deporre le uova ottenendo un blocco di covata artificiale.
Per capire meglio come si fa, quali sono le modalità e le tecniche migliori, abbiamo intervistato il dottore Giovanni Guido, apicoltore professionista e tecnico veterinario di Unaapi, l'Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani.
Dottor Guido, quando è consigliabile fare l'ingabbiamento invernale della regina?
"L'ingabbiamento invernale, anche se sarebbe più corretto parlare di ingabbiamento autunnale, oltre ai già citati motivi, è fondamentale per garantire una buona efficacia del successivo trattamento. Solo ingabbiando la regina sarà possibile eseguire i trattamenti a base di acido ossalico in sicura assenza di covata. È infatti provato che la somministrazione di acido ossalico stimola le famiglie, provocando un aumento dell'attività, della temperatura e conseguente ripresa della deposizione, correndo così il rischio, anche in presenza di blocco naturale della deposizione, di riattivarla con il primo dei trattamenti e di rendere meno efficaci i successivi".
In che periodo si fa l'ingabbiamento?
"Anni di prove, svolte dalla rete di tecnici del Centro di Riferimento Tecnico Patologie Apistiche dell'Unaapi, hanno evidenziato come il momento più propizio per l'ingabbio sia l'autunno, terminate le ultime fioriture. In questo periodo, che generalmente avviene in ottobre, le regine rallentano naturalmente la deposizione, e la loro reclusione non viene percepita dall'alveare come un'anomalia. In questo periodo le giornate sono ancora lunghe e le condizioni climatiche ancora favorevoli al lavoro in apiario. Anticipando l'ingabbiamento, si anticipa anche il periodo dei trattamenti, che potranno avvenire con temperature ancora miti, agevolando la diffusione dell'acido ossalico all'interno delle famiglie".
Che tecniche si possono usare?
"In commercio ci sono oramai diversi modelli di gabbiette utilizzabili. In questo periodo è importante collocare la regina al centro del nido, per minimizzare il rischio che rimanga fuori dal glomere. Il posizionamento avviene sui favi centrali, subito sotto la corona di miele e restringendo lo spazio disponibile ai soli favi occupati dalle api, utilizzando uno o più diaframmi".
Quanto si deve tenere ingabbiata la regina?
"Oltre ai 21 giorni indispensabili per la nascita di tutte le api, in questo periodo non è presente covata maschile, bisogna sommare il tempo utile per eseguire i trattamenti necessari per raggiungere la massima efficacia. Iniziando ad ingabbiare nei primi giorni di ottobre, a seconda delle dimensioni aziendali e quindi del tempo necessario a completare l'ingabbio ed i successivi trattamenti, la liberazione può avvenire nel mese di dicembre, con qualche apicoltore che arriva a sgabbiare in gennaio. Quindi mediamente possiamo dire che in questo periodo l'ingabbio dura un paio di mesi abbondanti".
Ci sono dei rischi per la vitalità e la sopravvivenza della regina?
"Ingabbiando in autunno si minimizza l'impatto su regina e famiglia, perché si asseconda il normale comportamento dell'alveare, che fisiologicamente è predisposto ad interrompere l'allevamento. La tecnica dell'ingabbiamento autunnale può essere applicata a famiglie e regine in buone condizioni, non compromesse da eccessiva carica di varroa e virus. La pratica aziendale dice che è normale una perdita di 2-3 regine ogni 100 ingabbiate; percentuali più alte di perdite sono imputabili ad errori o a famiglie e regine non in buone condizioni".
Come si pianificano e si inseriscono i trattamenti antivarroa invernali?
"Il trattamento autunno/invernale, a base di acido ossalico, in sicura assenza di covata, è il solo che possa garantire l'efficacia necessaria e permettere una successiva stagione produttiva senza danni da varroa. Partire in primavera con pochissima varroa, permette di arrivare a luglio/agosto con infestazioni gestibili anche con trattamenti 'leggeri' che pur rimanendo efficaci non stressano troppo le famiglie. Nella pianificazione aziendale dei trattamenti, il cardine deve essere il trattamento autunno/invernale, quello in cui si richiede e si può ottenere la massima efficacia. I trattamenti in stagione hanno invece solo l'obiettivo di rimanere sotto la soglia di danno e traghettare gli alveari al successivo trattamento autunno/invernale".






























