Affermazione non certo peregrina.
Il consumo di latte in Italia è in effetti in calo mentre la produzione nazionale è in aumento, si aggiunga che, visto il cambiamento climatico, i paesi esportatori soffrono.
Pur senza prendere misure autarchiche e "trumpiane" l'Italia si potrebbe trovare a importare di meno, garantire migliori guadagni ai propri allevatori e a fornire prodotti di migliore qualità ai consumatori. Questi possono essere degli obiettivi raggiungibili.
A condizione di trovare una giusta intonazione "collettiva" nella comunicazione fatta dagli attori della filiera e di segmentare l'offerta con accortezza.
Spieghiamoci.
Noi tutti consumiamo un sacco di prodotti fatti con latte soprattutto tedesco: parliamo di mozzarelle, provole e tanti prodotti "tipici"; questo non s'ha da fare.
Gli scaffali dedicati dei discount sono pieni (dal 60 al 100%) di prodotti esteri o prodotti italiani variamente taroccati: una tendenza che si può correggere.
L'origine della materia prima deve essere evidente, il logo col tricolore amministrato con zelo. Il mercato chiede latte di alta qualità: i consumatori devono essere informati sulla differenza che corre fra un latte "commodity" e un latte di qualità e forse avrebbero meno paura di questo alimento basilare per la salute.
In alcuni paesi, come ad esempio Austria e Danimarca, il latte fieno rappresenta già oggi un segmento importante di mercato e appariglia il latte bio. Latte fieno e latte bio potrebbero rappresentare un'ottima opportunità per il rilancio dei terreni collinari e montani, che deve essere una priorità per un paese che nei propri territori (lo abbiamo visto in queste settimane) cade letteralmente a pezzi.
Poi aggiungiamo l'impegno che dobbiamo profondere nello spingere l'esportazione, che continua ad avere dati sempre promettenti.
Insomma: si può (o potrebbe) fare. Bisogna solo crederci.