Oggi nella maggioranza delle porcilaie italiane sono presenti razze ibride, ben diverse da quelle di vent’anni fa
“Lo spessore del grasso in copertura, definito anche sottonoce, e il peso rifilato della coscia destinata a diventare Prosciutto crudo di Parma o San Daniele Dop – spiega Andrea Rossi, ricercatore del Crpa, Centro ricerche produzioni animali spa, di Reggio Emilia che del workshop in questione sarà relatore – costituiscono elementi chiari e discriminanti per stabilirne la qualità. A questo proposito il Disciplinare di produzione, risalente però agli inizi degli anni Novanta, parla chiaro e indica che le tecniche di allevamento dei suini destinati al circuito tutelato devono essere finalizzate a ottenere un suino pesante attraverso moderati accrescimenti giornalieri e la produzione di carcasse inserite nelle classi centrali della classificazione Cee, senza indicarle ma dando per scontato che ci si riferisca alle lettere U, R, O”.
Con l’introduzione e la presenza oggi ormai preponderante nelle porcilaie italiane di razze ibride, il contesto suinicolo ha però subìto negli ultimi vent’anni una profonda trasformazione “tant’è vero – sottolinea Rossi – che a detta degli operatori questo andamento ha portato a profondi cambiamenti nelle caratteristiche della carcassa e dei tagli”.
Da qui un costante aumento di carcasse sempre più magre e cosce fresche ritenute non conformi alla trasformazione in prodotto tipico perché classificate “E”, e quindi escluse.
La sperimentazione condotta dal Crpa ha confermato che anche le cosce ritenute troppo magre rispondono ai requisiti previsti dal Disciplinare di produzione
Questa evoluzione o trasformazione a cosa ha portato o porterà nell’immediato futuro? “Va detto intanto che proprio alla luce di questo cambiamento – spiega ancora Rossi – il Crpa ha condotto recentemente una prova sperimentale sulle caratteristiche qualitative delle sole cosce appartenenti a carcasse classificate “E” secondo la nuova equazione di stima, quelle ritenute troppo magre e per questo escluse dal circuito tutelato. E’ emerso in maniera molto netta che la stragrande maggioranza di questa tipologia di coscia rientra pienamente nei due limiti previsti dal Disciplinare e che la sua qualità, pertanto, non ne pregiudica la trasformazione in prosciutto crudo Dop”.
Ma come avviene attualmente la valutazione della carcassa e come, eventualmente, dovrebbe avvenire all’interno dei macelli? “Esiste una Decisione comunitaria, la 38/2014 - conclude Rossi - che ha autorizzato una serie di strumenti di valutazione e, tra gli altri, due automatici innovativi, l’Autofom e l’Image Meater, in grado di aumentare i parametri di qualità della carcassa e fornire una stima in tempo reale della resa dei vari tagli commerciali e della loro composizione in tessuti: la loro diffusione in tutti i macelli garantirebbe la valorizzazione della carcassa fino al singolo taglio anatomico. Purtroppo, allo stato, solo due impianti di macellazione li stanno utilizzando”. La discussione quindi sui metodi di valorizzazione della carcassa, ma soprattutto della coscia suina destinata alla Dop, è tutt’altro che conclusa e lo stesso Andrea Rossi auspica “che possa iniziare a breve un confronto con tutti gli attori della filiera per arrivare anche alla richiesta di modifica del Disciplinare di produzione”.
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Fonte: Cremona Fiere