Sensazionalismi a parte la logica produttiva che ne emerge è ferrea: ogni anno bisogna produrre almeno 39 chili di carne suina per ogni tedesco. Una fame che aumenta in tutto il mondo e chiede carne a buon prezzo. E’ la legge della domanda e dell’offerta il cui sillogismo che ne dovrebbe conseguire, tuttavia, è che a prodotti diversi devono corrispondere quotazioni differenti.
“Il mercato del suino magro – spiega la presidente nazionale della Federazione di prodotto carni suine di Confagricoltura, Giovanna Parmigiani - non è paragonabile alla filiera del nostro suino pesante, a partire dai costi generati dal fatto che il nostro ciclo produttivo è pressoché il doppio rispetto a quello che caratterizza i Paesi del nord Europa".
L’articolo punta i riflettori sulle questioni nodali responsabili della concorrenza sleale perpetrata da alcuni Paesi a danno del settore suinicolo italiano: lassismo nel rispetto delle leggi ambientali e sanitarie, lavoro sottopagato e sussidi pubblici. Gli allevamenti suinicoli in Italia sono passati da 193.666 nel 2000 a poco più di 26.000 nel 2010: un dato che denuncia mestamente la resa di tanti imprenditori italiani nella lotta ad armi impari coi concorrenti stranieri.
“Il suino nato, allevato e macellato in Italia ha caratteristiche qualitative uniche – sottolinea Parmigiani - come dimostrano le produzioni certificate il cui valore è riconosciuto ovunque all’estero, basti pensare al Prosciutto di Parma, al San Daniele ed alle nostre produzioni piacentine di coppa, salame e pancetta Dop. Il nostro Paese, inoltre, si distingue a livello mondiale per l’importanza che attribuisce alla tracciabilità dei prodotti e alla sicurezza alimentare. In Italia i controlli sono ferrei e rigorosi ed anche per questo Confagricoltura si sta battendo a Bruxelles per ottenere l’etichettatura delle carni indicanti “Nato, allevato e macellato”, così come chiede l’indicazione della provenienza delle cani anche nell’etichetta dei salumi non Dop (nei Dop, invece, è obbligatorio l’utilizzo di carne italiana)".
"L’Italia si deve imporre ed esigere, prima che sia troppo tardi, sia a livello comunitario sia negli scambi coi Paesi terzi, la reciprocità nell’applicazione delle normative e del rispetto degli standard qualitativi a garanzia dei diritti dei consumatori - conclude Parmigiani - Normative rigide impongono a noi allevatori di allinearci a protocolli produttivi sempre più rigorosi, con un costo del lavoro che aumenta di anno in anno rispetto ai principali competitor stranieri. Se questo valore aggiunto si perde e non viene né tutelato né riconosciuto dal mercato, la conseguenza sarà che un numero crescente di allevamenti sarà costretto a cessare la propria attività, come molti sono già stati costretti a fare negli ultimi dieci anni e noi italiani dovremo approvvigionarci all’estero”.
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: Confagricoltura Piacenza