In questi giorni gli agricoltori protestano in Italia e nel resto d'Europa contro le politiche di restrizione volte a limitare l'impiego dei mezzi tecnici (fertilizzanti e fitosanitari) nel nome dell'ambiente. Non sanno ancora che nel giro di un paio d'anni anche i concimi dovranno fare i conti col Cbam e che la conseguente riduzione dell'uso sarà collegata a ragioni economiche e non ad imposizioni del Palazzo.

 

In realtà, come riportato negli altri articoli dedicati al meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, si tratta comunque di una norma comunitaria collegata al Green Deal, nello specifico volta ad imporre il pagamento di una "tassa" sulle importazioni di merci ad elevate emissioni di anidride carbonica.

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Purtroppo, i concimi contenenti azoto sono stati inclusi nella lista di beni interessati dalla norma e gli importatori stanno già inviando la prima relazione Cbam relativa ai fertilizzanti importati nell'ultimo trimestre del 2023; segnaliamo che nei giorni scorsi sono stati concessi altri trenta giorni (fino al primo marzo prossimo venturo) per presentare la relazione che, dal prossimo aprile, dovrà comunque essere inviata ogni tre mesi.

 

Ricordiamo innanzitutto quali sono i prodotti fertilizzanti al momento interessati dalla normativa, segnalando che fa fede il codice di nomenclatura combinata individuato al momento dell'importazione. Ci sono tre merci appartenenti al codice 28 (prodotti chimici): ammoniaca, acido nitrico e nitrato di potassio. I primi due, importanti costituenti di base per la produzione, ed il terzo che trova anche largo impiego diretto in agricoltura. Sono invece molti i prodotti individuati col codice 31 (concimi), in pratica tutti i concimi semplici a base di azoto (per esempio urea, solfato ammonico, nitrato ammonico, nitrato di calcio, eccetera) ed i concimi composti NPK, NP ed NK come il 15/15/15, il 18/46 o il 20/10/10. Sono quindi escluse le importazioni di concimi semplici a base di fosforo (per esempio perfosfato triplo) e potassio (per esempio cloruro di potassio), così come i concimi binari PK.

 

Una delle prime conseguenze pratiche, al di là delle difficoltà collegate all'invio della prima relazione, è stata la raccolta delle informazioni da inviare a Bruxelles. Una volta effettuato finalmente l'accesso al portale (sono state tante le aziende di importatori che abbiamo dovuto assistere in questa fase), tra le varie informazioni da fornire ci sono quelle relative alle emissioni (dirette ed indirette) di CO2 riconducibili alle singole merci individuate dalla specifica voce doganale.

 

I due anni di periodo transitorio serviranno alla Commissione Ue proprio per fare la fotografia delle merci importate nell'Unione Europea (Ue) in termini di provenienza (Paese, produttore, sito, eccetera), quantità di prodotto e di emissioni di gas ad effetto serra (biossido di carbonio e protossido di azoto) ed informazioni relative ad eventuali imposte locali collegate alle emissioni. Gli importatori hanno dovuto interloquire con i loro fornitori e, come spesso accade in questi casi, c'è stata un'immediata diffidenza verso queste richieste che nella maggior parte dei casi non sono state soddisfatte.

 

I produttori extra Ue, di fronte a clienti in cerca di informazioni dettagliate collegate a future imposizioni volte a scoraggiare determinate importazioni, hanno preferito rivolgere le loro attenzioni verso Paesi e clienti più facili da gestire. Seppur velatamente, si è già avvertito un malcelato disagio, così come una certa difficoltà a raccogliere e fornire dati così particolareggiati. Il peggio verrà quando (luglio 2024) gli importatori non potranno più utilizzare i valori di default relativi alle emissioni totali che sono stati temporaneamente forniti dalla Commissione. In pratica, mentre le prime relazioni si potranno completare anche senza il coinvolgimento del produttore extra Ue, tra qualche mese, in assenza di informazioni, gli importatori europei saranno immediatamente costretti ad abbandonare i fornitori che non saranno in grado di dire, ad esempio, quante tonnellate di CO2 emettono per produrre 1 tonnellata di urea.

 

La tempesta si abbatterà a gennaio 2026, a partire da quel momento gli importatori dovranno iniziare a pagare per le emissioni di gas a effetto serra collegate alle merci che arriveranno nel territorio dell'Unione Europea. Il costo si andrà ad aggiungere a tutte le altre spese e comporterà un consistente aumento del prezzo finale che dovrà essere sborsato dagli imprenditori agricoli quando acquisteranno concimi soggetti al Cbam.

 

In questi giorni il costo di 1 tonnellata di CO2 (collegato all'Emission Trading System) è di poco inferiore ai 60 euro, basandoci sui valori di default, ad esempio, 1 tonnellata di urea costerebbe 114 euro in più, pari ad un aumento di oltre il 20% rispetto al prezzo attuale. Abbiamo provato a fare il calcolo dell'impatto globale sul settore fertilizzanti. La quantità di concimi soggetta a Cbam importata in Italia nel 2022 (ultimo dato annuale disponibile) è stata di 1,39 milioni di tonnellate, applicando i dati di default per singola voce doganale otteniamo circa 2,36 milioni di tonnellate di CO2 che, al prezzo attuale, comporterebbero una spesa di oltre 141 milioni di euro. Considerando che il valore totale del comparto fertilizzanti in Italia si stima intorno a 1,1 miliardi di euro/anno, si tratterebbe di un aumento medio di circa il 13% sul prezzo pagato dagli agricoltori.

 

Difficile dire oggi quanto questi numeri saranno vicini alla realtà tra due anni, i tre elementi del calcolo potranno variare in un senso o nell'altro. Quasi certamente i valori reali delle emissioni saranno inferiori a quelli di default, ad esempio l'urea che oggi vale 1,9 dovrebbe attestarsi intorno a 1,6 tonnellate di CO2 per tonnellata di concime; di contro ci si attende un aumento del prezzo dell'emissione, alcuni analisti ritengono si possa tornare ai 100 euro/tonnellata di giugno 2023; contrastanti le stime sulle quantità importate, il 2023 si chiuderà certamente in crescita rispetto all'anno utilizzato per i nostri calcoli ed il 2024 si preannuncia all'insegna della stabilità.

 

Sul finire del 2025 si potrebbe assistere ad un deciso aumento dei volumi importati proprio per evitare la tassazione del 2026, che quindi è davvero difficile da stimare. Si confida, inoltre, sul fatto che le prossime elezioni europee indeboliscano il fronte dei partiti votati alla transizione ecologica più radicale e che alcune delle attuali posizioni possano mitigarsi. Le associazioni europee degli agricoltori potrebbero nuovamente giocare un ruolo determinante come è accaduto in queste ultime settimane e, ad esempio, far slittare il periodo transitorio di altri quattro-sei anni per consentire ai Paesi extra Ue di attuare politiche ambientali tali da limitare a pochi euro/tonnellata l'adeguamento del carbonio alle frontiere.

 

A cura di Mariano Alessio Vernì (vicepresidente) e Giorgia Alessio Vernì (Regulatory Specialist) di SILC Fertilizzanti Srl