Lo scorso 2 febbraio, in provincia di Bologna, l'esondazione del fiume Reno ha portato all'allagamento di parte del territorio dei Comuni di Castel Maggiore, Argelato e, in misura minore, di Castello d'Argile e San Giorgio di Piano.

L'esondazione ha colpito anche l'agricoltura interessando la fornitura di acqua grezza per il settore. Nonostante le prime previsioni, che prevedevano il ripristino alla fine del mese di marzo, la fornitura è invece ripartita con un mese di anticipo.


Chi è entrato in scena? 

Ad aiutare nel drenaggio delle zone colpite è stato il Canale emiliano romagnolo che, utilizzato come una via alternativa di scolo, ha allontanato oltre 2 milioni di metri cubi di acqua per liberare gran parte dei territori alluvionati, mettendo però in stand by il suo vero scopo.

"Il Canale nasce come opera strategica per la fornitura d'acqua di buona qualità per la più avanzata agricoltura italiana, quella emiliano romagnola - afferma il direttore generale del sistema idrico Paolo Mannini - Fornisce anche acqua potabile per gran parte della Romagna che deve essere della più elevata qualità. Non è pensabile quindi che questa operazione diventi routinaria".

"E' stato un intervento straordinario, con l'aiuto della protezione civile, i sindaci dei comuni coinvolti e la Bonifica Renana. L'eccezionalità dell'utilizzo alternativo del Canale, che essendo irriguo non è all'interno del piano emergenza, è avvenuto invece in una situazione che riguardava le acque naturali. Tutti i fiumi, i torrenti sono infatti di competenza della Regione Emilia Romagna" continua il direttore.


Canale emiliano romagnolo, tra manutenzione e irrigazione

Nonostante la ripartenza anticipata rispetto ai tempi previsti, il Canale si scontra anche con il fattore tempo.
Bisognoso di almeno tre mesi invernali a canale vuoto, per permettere una corretta manutenzione degli impianti, il Canale si trova ora davanti alla campagna irrigua che, a causa del cambiamento climatico, negli anni è stata sempre più anticipata.

"Si è passati dal primo maggio al primo aprile e ad oggi la campagna parte il primo marzo. Abbiamo sempre meno tempo per agire sugli impianti. Se la manutenzione dovesse venir meno, la regione accuserebbe fortemente il colpo con un conseguente danno di 500 milioni di euro l'anno per la parte agraria".
"Ad oggi nel futuro del Canale c'è il sogno di una fonte alternativa: una diga in montagna nella zona dell'imolese per garantire i tempi invernali di manutenzione e garantire l'irrigazione per il territorio" continua Mannini.
 

In ripresa sì, ma i problemi non sono ancora finiti per gli agricoltori

La campagna irrigua 2019 è quindi partita ma per le aziende agricole regionali non è ancora finita.
Infatti a causa dei solidi sospesi ancora presenti nelle acque, le aziende che utilizzano impianti a goccia, molto soggetti a intasamento degli erogatori, potranno riscontrare dei problemi.

Ad preoccupare gli agricoltori anche la mancanza di piogge.
E' di questi giorni la segnalazione dell'Anbi sulla situazione del fiume Po, in linea con le condizioni della siccità del 2007. Una situazione che non coinvolge solo il più grande fiume d'Italia ma l'intero sistema idrico nella pianura padana.

"Chi coltiva bietola da seme e cipolla, due colture ampliamente coltivate in Emilia Romagna, è preoccupato per l'andamento delle campagne a causa della mancanza delle piogge" precisa il direttore del Canale.
 
Impianto
(fonte: © Cer - Canale emiliano romagnolo)


Giocare d'anticipo

E se si dovessere presentare un altro caso eccezionale? Ovviamente le emergenze non si possono prevedere, però lavorare per limitare i danni si può.

"Affinché non ricapiti più, servono fondi e risorse per mettere in sicurezza il territorio. Una situazione del genere era già successa una ventina di anni fa, non grave come ora. In quell'occasione abbiamo dovuto mettere in atto una pratica complessa, quella del sollevamento delle acque sporche" conclude il direttore Paolo Mannini. 


Canale emiliano romagnolo, una importante opera idraulica

Lungo oltre 130 km, il Canale emiliano romagnolo, che si avvale di 7 impianti di sollevamento e di una diga fluviale mobile alla foce del Reno, interessa una superficie di 336mila ettari di cui 227mila di superficie agraria.

L'idea di costruire un sistema in grado di rendere disponibili le acque del Po per l'irrigazione della pianura emiliano romagnola ha quasi 400 anni.

E' gestito dal Consorzio di bonifica di secondo grado per il Canale emiliano romagnolo, persona giuridica pubblica costituita il 29 settembre 1939 con R.D n.8288 per lo studio, la realizzazione e l'esercizio del Canale e delle opere irrigue.
E' affidata invece ai Consorzi associati la distribuzione irrigua della risorsa nel territorio, secondo le dotazioni idriche ad esse assegnate.