Le rilevazioni ufficiali dei prezzi sui mercati agricoli talvolta non bastano a garantire corretti rapporti di filiera.
Sembra essere questo il dato che emerge da quanto avvenuto in Sardegna, dove l’assessore all’Agricoltura e alla riforma pastorale, Elisabetta Falchi, aveva convocato per il 21 marzo il tavolo di filiera ovicaprina con lo scopo, peraltro annunciato da tempo, di avviare la costituzione dell’organismo interprofessionale, previsto dalla Ocm unica. Ma Coldiretti non si è presentata all’appuntamento, per protestare contro le continue voci su presunti crolli dei prezzi dei prestigiosi formaggi ovini dell’isola.
 
“Pur rispettando la figura istituzionale non ci sono le condizioni per dialogare o instaurare un rapporto costruttivo con chi specula alle spalle dei pastori – scrivono in una lettera indirizzata dai vertici della Coldiretti Sardegna all’assessore Falchi per annunciare l’assenza dal tavolo - Ci troviamo di fronte ad una situazione come quella di 20 anni fa, dove ognuno fa ciò che vuole, scaricando le inefficienze sulla produzione primaria e lasciando che il prodotto venga accaparrato dagli stessi soggetti che hanno sempre dominato il mercato con denaro contante ed acquisti a basso prezzo”.

Nella lettera il presidente ed il direttore di Coldiretti Sardegna -  Battista Cualbu e Luca Saba - sottolineano: "Purtroppo riscontriamo l’assenza totale di trasparenza nella conoscenza e diffusione dei dati. Sgambetti continui avvengono all’interno del comparto della trasformazione con la svendita del Pecorino romano, la continua diffusione di messaggi di terrore sulla situazione attuale, la fuoriuscita di dati non veritieri sulle quotazioni, la rinuncia, a campagna iniziata, al ritiro del latte caprino da moltissimi produttori, la riduzione progressiva e ingiustificata degli acconti sul latte ed infine la velata minaccia di chiusura anticipata di caseifici. Tutto questo rende impossibile credere che si possa instaurare un qualsiasi rapporto costruttivo”.

“Da anni – continua al missiva - abbiamo chiesto che si potesse impostare la programmazione produttiva del Pecorino romano, che arriva solo oggi a compimento negli intenti con l’immissione di un tetto massimo, ma senza sanzioni significative che impediscano realmente a chiunque di andare in sovrapproduzione. Abbiamo tentato di fare sistema credendo che la concorrenza del mercato del latte ovino passasse attraverso un rafforzamento concreto della cooperazione con interventi di capitalizzazione diretta ma, purtroppo, riscontriamo ancora la perdita di questa fondamentale occasione”.

L'amara constatazione è che si sia persa ancora una volta “l’occasione di cambiare il settore, di renderlo finalmente maturo, di poterlo far affacciare alla tanto sperata solidità ed internazionalizzazione. Ci troviamo invece davanti a chi nel momento di maggior ricavo è caduto nel panico senza saper neanche affrontare la congiuntura positiva”.

Cualbu e Saba affermano “I dati che tutti spiattellano, ma che nessuno certifica, parlano da settembre 2015 di iperproduzione e crollo dei prezzi. Ma se la produzione maggiore si sta realmente concretizzando (e non sappiamo ancora in che misura) non è invece vero che è crollato il prezzo, ma è semplicemente diminuito. I dati ufficiali danno ancora oggi i prezzi di vendita nella media di 8.50 euro al chilogrammo che arrivano sino a 9,10 euro al chilogrammo (Fonte Ismea). Perché allora si parla di vendite a 7,50 euro al chilogrammo? Chi mente ? Chi sta speculando sul settore?”