Cattiva abitudine quella di aspettare sino all'ultimo, sperando in una proroga che risolva tutto. Oggi tocca alle tasse comunali (che confusione!) ieri, anzi anni fa, è stato il turno delle galline ovaiole e delle loro gabbie. Una vicenda ormai vecchia di quindici anni, da quando il Consiglio europeo con una direttiva del 1999 (99/74/Cee) aveva deciso che le ovaiole dovessero essere allevate a terra o disporre di gabbie più grandi e dotate di accorgimenti (“arricchite”) che favorissero il benessere degli animali. Se n'è parlato a lungo anche su Agronotizie. Data ultima per l'entrata in vigore il primo gennaio del 2012. Ci vollero un po' di anni all'Italia per accogliere la direttiva, ma comunque con un certo anticipo sulla scadenza, ecco arrivare nel 2003 un decreto legislativo di recepimento delle norme comunitarie. Invariata, ovviamente, la scadenza del gennaio 2012. Nove anni non sono bastati e gli allevamenti italiani si sono fatti trovare impreparati. E mentre l'Italia fissava una proroga al 2014, dalla Commissione partiva già a gennaio del 2012 una prima comunicazione di deferimento alla Corte di Giustizia europea nei confronti dei molti Paesi inadempienti. In risposta l'Italia si limitava ad anticipare al 2013 la proroga nel tentativo di evitare le sanzioni comunitarie. Una risposta insoddisfacente e ad aprile 2012 la Commissione si è rivolta di nuovo alla Corte, ma questa volta i paesi accusati di infrazione erano solo due, Italia e Grecia. Gli altri si erano già "attrezzati".

Multa in arrivo
Oggi la procedura di infrazione sta completando il suo iter e dalla Corte è in arrivo una sentenza (C-339/13, Commissione/Italia) di condanna per l'Italia per l'essere venuta meno agli obblighi dettati dalla direttiva comunitaria del 1999. A nulla sono valse le giustificazioni italiane e ininfluente la conferma che a luglio 2013, data della proroga decisa dall'Italia, gli allevamenti fossero a norma (un solo caso di irregolarità). La Corte ha replicato che le inadempienze si “misurano” alla scadenza del temine stabilito nel “parere motivato”, che in questo caso risale all'agosto del 2012. Quel che è accaduto dopo non conta. Così l'Italia ha torto e la Commissione ha ragione. E ci verrà presentato il conto trattenendo i soldi dai sostegni comunitari destinati al nostro Paese.

Chi paga
Ma a farne le spese non saranno gli allevatori di ovaiole. Loro di soldi da Bruxelles non ne hanno mai ricevuti, né li aspettano per il futuro. Hanno però dovuto spendere capitali ingenti per aggiornare i loro allevamenti e altri ne stanno perdendo per l'inevitabile calo della produzione che i nuovi sistemi si portano dietro. Non è un caso se nel 2013 la produzione di uova in Italia è scesa del 2,14% e per la prima volta le importazioni hanno fatto un balzo in avanti del 145%.

La parola agli allevatori
Prendiamo atto di una sentenza che si è limitata ad applicare in modo rigido la norma sul rispetto del termine per l'adempimento agli obblighi derivanti da una norma comunitaria”, afferma Aldo Muraro, presidente di Unaitalia, l'associazione che rappresenta il 90% della filiera avicola italiana. “Le filiere aderenti ad Unaitalia - prosegue Muraro - del resto, erano tutte in linea con i nuovi standard europei ben prima del luglio 2013. Con questo atto conclusivo di un lungo e complesso iter confidiamo di avere chiuso il cerchio dato che stiamo parlando di un atto riferito al passato rispetto ad una situazione oggi del tutto sanata. L'adeguamento ha comportato un grosso impegno economico degli allevatori, ed il parziale ritardo era dovuto alla mancanza di risorse a disposizione, tanto e' vero che chi non le ha avute ha dovuto ritirarsi dal mercato.”

Rinviare non paga
Ora che gli allevamenti italiani sono in regola suona quasi come una beffa vedersi rifilare una multa da Bruxelles. Ma la colpa è solo degli allevatori, che hanno lasciato passare invano dodici anni? O piuttosto della assenza di qualunque indirizzo nella politica agricola italiana per accompagnare gli allevamenti verso questa “rivoluzione”? Domande retoriche delle quali già si conosce la risposta. Ma un insegnamento resta. Rinviare non serve, fa solo danni.