Solo i prodotti davvero realizzati sul territorio nazionale potranno fregiarsi del marchio “Made in Italy”. E' quanto stabilisce l'articolo 16 del decreto Ronchi recentemente convertito in legge dopo la fiducia ottenuta alla Camera. Una legge che raccoglie molti argomenti, dalle quote latte allo smaltimento dei rifiuti delle autofficine, tutti argomenti che vedevano l'Italia in infrazione rispetto ai dettami imposti dall'Unione europea. Con il varo di questa legge si conclude l'importante capitolo dell’etichettatura e della provenienza dei prodotti, che vede in prima linea il settore agroalimentare e sopratutto la filiera lattiero casearia. Con il prezzo del latte alla stalla in crisi si era invocata, specie da parte del ministero dell'Agricoltura, l'indicazione della provenienza del latte per dare modo ai consumatori di scegliere con maggiore consapevolezza. Sperando così che la preferenza accordata al “made in Italy” sia anche motivo per una ripresa dei prezzi e un'ancora di salvezza per le stalle ormai sull'orlo del tracollo economico.
Il dissenso delle industrie
Se gli allevatori esultano, le industrie del latte dichiarano invece la loro insoddisfazione per una norma che a loro giudizio mina la competitività del settore. Perché, questa la tesi sostenuta anche da Federalimentare (si veda anche quanto pubblicato da Agronotizie), il “made in Italy” va messo in relazione al processo di lavorazione e trasformazione piuttosto che all'origine delle materie prime. Sulla stessa linea è anche il pensiero di Assolatte che si è detta preoccupata per l'obbligo di indicare sull’etichetta dei formaggi la provenienza della materia prima, cioè del latte. “Questo significa - osserva il presidente di Assolatte, Giuseppe Ambrosi - che i formaggi italiani dovrebbero denunciare la quantità di latte straniero che contengono, indicando le percentuali per Paese di provenienza. Ciò comporterebbe superiori costi derivanti dalla rigidità negli approvvigionamenti e un serio danno d’immagine.”
Di tutt'altra opinione è il ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia. “Non riesco a capire – ha detto il ministro - perché chi va a comprare latte o prodotti lattiero caseari non debba sapere da dove viene quel latte.” Il ministro ha poi ribadito il diritto degli allevatori nel far valere l'identità e la qualità che con il loro lavoro garantiscono ai consumatori. “Ciò non toglie – ha concluso il ministro - che tutti potranno continuare a produrre con il latte che preferiscono, purché lo comunichino in modo trasparente".
La risposta del mercato
La partita è ora nelle mani dei consumatori che confermando la loro preferenza ai prodotti di origine italiana possono ridare fiato al mercato del latte. Un mercato che sarà anche in balia delle tensioni internazionali, ma che non può fare a meno di quelle prerogative di qualità dalle quali nascono le eccellenze della nostra produzione casearia, primi fra tutti i prodotti a marchio Dop. Un latte la cui produzione costa di più e che va pagato per il suo giusto valore. O gli allevamenti continueranno a chiudere, con tanti saluti alla nostra tradizione casearia. E sarebbe una iattura anche per le industrie del settore.