Si sperava che l'istituzione della Cun suini, la Commissione unica nazionale incaricata di fissare i prezzi di mercato, potesse dare al settore maggiore stabilità limitando stagionalità e movimenti di prezzo non connessi alle logiche di domanda e offerta. Obiettivi che in queste ultime settimane si sono allontanati a causa della mancata partecipazione dei macellatori agli incontri in programma. E come prevedono le norme di funzionamento della Cun, in assenza della controparte di mercato la definizione del prezzo viene fatta dai soli allevatori. Così i prezzi registrati dalla Cun ad agosto sono saliti a oltre 1,6 euro al chilo, con un aumento del 2% rispetto ad un anno fa ed un balzo dell'11,5% rispetto al mese precedente. Ma nello stesso periodo i suini pesanti sono stati quotati sulla borsa di Modena a soli 1,48 euro e dunque è assai probabile che agli allevatori siano andati in tasca assai meno soldi di quanto i dati della Cun lascerebbero prevedere. E' questa la puntuale analisi che emerge dalle osservazioni del Crefis, il Centro diretto da Gabriele Canali sulle ricerche economiche in campo suino dell'Università Cattolica di Piacenza,.
Redditività apparente
Essendo costruiti con i prezzi Cun, si legge in una nota diffusa dal Crefis, gli indici di redditività dell'allevamento registrano risultati “apparentemente” positivi e in forte miglioramento: +11% rispetto a luglio e addirittura +21% rispetto ad agosto 2014. Il livello basso dei prezzi delle materie prime impiegate nella alimentazione, d’altro canto, aiuta concretamente da qualche tempo gli allevatori a far quadrare i bilanci.
Se per il mondo degli allevamenti la situazione dei prezzi non è così positiva come appare, il settore della macellazione vede quotazioni in rialzo per le cosce fresche pesanti destinate al circuito dei prosciutti Dop, con un più 6% su base annuale. Aumenti sono registrati dal Crefis anche per i prosciutti stagionati, come nel caso del “Parma”, con una variazione tendenziale che sfiora il 10%. Aumenti che però non sono ancora sufficienti per colmare il gap di redditività che resta a vantaggio dei prosciutti non tipici. Ma i segnali per un'inversione di tendenza sembrano esserci.
03 settembre 2015 Zootecnia