Parola di Elio Martinelli, vicepresidente di Assosuini, realtà che opera nel triangolo d’oro della zootecnia, fra Brescia, Cremona e Mantova.
La suinicoltura sta attraversando una fase di profonda crisi e ora, secondo Martinelli, “non bastano più gli annunci, serve un’azione forte, rapida e coesa. Altrimenti per il comparto non ci saranno speranze”.
Perché nell’anno dell’Expo, vetrina del made in Italy agroalimentare, il timore di Assosuini è che “sarà l’anno peggiore per gli allevamenti suinicoli, con lo spettro del maggior numero di chiusure e cessioni di attività d’impresa”.
Presidente Martinelli, in ballo ci sono due proposte: il Sistema di qualità nazionale (Sqn) e il progetto 100% italiano. Quale preferisce?
“In un’ottica di prospettiva direi che il progetto 100% italiano è più interessante, perché presenta forse meno burocrazia rispetto all’Sqn e, inoltre, il disciplinare di appoggio sarebbe quello del Prosciutto di San Daniele Dop, e non ci sarebbe la necessità di crearne un altro. Quella della suinicoltura italiana è una lotta contro il tempo e non possiamo permettere che il trasformatore giochi su più tavoli, a discapito dei produttori di suini”.
Qual è per lei la sfida?
“Oggi bisogna bilanciare i costi di produzione elevati per un prodotto italiano certificato con l’esigenza dei consumatori di accedere a prodotti a costi calmierati. Per questo credo che un progetto come il 100% italiano, che ha minori costi operativi, debba essere preferito rispetto all’Sqn”.
Quali reazioni sente fra gli operatori?
“Sono tutti sono interessati, ma nessuno parte. Sulla carta è tutto interessante, poi però manca una sintesi per investire sull’origine. Intanto all’estero si aggregano, difendono la produzione nazionale, trovano intese di filiera e promuovono prodotti che non sono equiparabili ai nostri, eppure ci riescono, mentre noi continuiamo a rimanere divisi”.
Di chi è la colpa?
“Di tutti, in primis degli allevatori. Eppure basterebbe poco. Ci sono modelli all’estero che funzionano, penso al Red Tractor della Bpex nel Regno Unito. Da noi, invece, è tutto più complicato”.
Elio Martinelli, vicepresidente di Assosuini
I dati delle macellazioni del 2014 secondo Istat hanno registrato una frenata del 15-16%, numeri contestati da Assica e Anas. Qual è la vostra posizione?
“Sulle prime mi pare assurdo un calo del 15-16 per cento. C’è stato indubbiamente un calo dell’import, sia sul suino vivo che sulle carni, ma non credo a questi livelli. Bisogna in ogni caso riflettere, perché l’autosufficienza alimentare non è un dettaglio, è estremamente importante”.
Secondo lei il Mipaaf sta dando le risposte attese?
“Il mio giudizio sul Mipaaf è molto insufficiente. Oggi manca un ministro come Marcora, che si fa carico di politiche di crescita dell’agricoltura italiana. Non voglio criticare il ministro Martina, ma ritengo che il Mipaaf non stia svolgendo il ruolo di responsabilità che gli spetta. Invece, finora, ho visto poco di concreto”.
Il problema sanitario per esportare non è ancora risolto.
“Questa è un’altra questione aperta. Ma parlare e non fare non va bene, perché nell’attesa stiamo perdendo consistenza degli allevamenti, sta aumentando la soccida, e credo che un certo patrimonio non si ricostituirà. Sono convinto che la biodiversità, l’esperienza e la cultura collegate a una capacità di marketing sia la strada da percorrere, insieme all’unità del sistema allevatoriale, che rimanendo diviso perde competitività. E poi bisogna puntare con convinzione sull’export, perché se non crescono le esportazioni la vedo dura”.
Lei dice: “Serve un progetto per rilanciare il prodotto made in Italy”. L’etichettatura entrata in vigore non è sufficiente?
“Non ancora. Mi chiedo, perché non dobbiamo essere chiari? Dovremmo lavorare molto di più insieme ai consumatori, anche loro divisi in una miriade di sigle. Anche in questo frangente, come nell’allevamento, basterebbe un’associazione fatta bene”.
Sulla Direttiva nitrati c’è ancora tutto in alto mare. Qual è la sua opinione?
“Ho la sensazione che al Mipaaf stiano sfruttando la nostra incapacità di sintesi, presa come alibi per non risolvere i problemi”.
La suinicoltura italiana si concentra essenzialmente al Nord. Secondo lei sarebbe proficuo ragionare per macroregione?
“L’ho già detto in altre occasioni. Sì, bisogna coinvolgere le regioni del Nord per discutere di suinicoltura, è inutile convocare un Tavolo nazionale”.
Qual è il progetto che l’Italia della suinicoltura dovrebbe perseguire?
“Avere una sola rappresentanza sindacale e tante organizzazioni di prodotto. Sarebbe una rivoluzione pacifica, che farebbe cambiare molte cose a vantaggio di chi effettivamente produce. Altrimenti rimarremo indietro. Recentemente l’Irlanda ha stabilito l’obiettivo di raddoppiare l’export agroalimentare da 10 a 20 miliardi entro il 2020. Credo che loro ci riusiranno, mentre noi saremo ancora qui a discutere, se non ci diamo tutti una mossa”.