I tabù sono un po’ come i record sportivi, sono fatti per essere infranti.
Questa volta, restando ai nostri temi agricoli, è toccato al presidente della Confagricoltura, Mario Guidi, prendere il coraggio a quattro mani e annunciare solennemente davanti a una affollata e interessata platea di allevatori: “Non è un tabù parlare di proroga del regime delle quote latte”.

Effettivamente, è un tema bollente, per due motivi. Il primo, perché in Italia la sua gestione rappresenta una delle pagine più nere della vecchia Politica agricola comune, con una montagna di miliardi di euro di multe mai pagate; anzi, pagate dal povero contribuente e dalla maggior parte degli allevatori onesti.

Il secondo motivo, perché per un Paese come il nostro, che importa circa il 40% del proprio fabbisogno, sarà ancor più travolto da un fiume di latte, quando a partire dal 2015 i grandi produttori europei potranno finalmente togliere il lucchetto alle mammelle delle loro vacche e inondare il nostro mercato in virtù della loro maggiore competitività.

Ben venga, dunque, la presa di posizione di Confagricoltura, che si è fatta portavoce delle preoccupazioni di tutti gli allevatori italiani, peccato però che arrivi ormai a negoziato quasi concluso.
Eppure, non ci voleva uno sforzo di fantasia per immaginare l’impatto devastante che avrebbe avuto sulla tartassata zootecnia italiana la decisione di abolire le odiate quote latte. In questi due anni di negoziato sulla nuova Pac tutti si sono sbracciati a denunciare il rischio di destabilizzazione del settore vitivinicolo a seguito dell’abolizione del sistema dei diritti di impianto (una specie di “quote vino”); qualche levata di scudi c’è stata perfino a favore del mantenimento delle quote-zucchero, un settore che l’Italia ha avuto il coraggio di mandare al macero un lustro fa, in cambio di una montagna di soldi che ha fatto ricchi gli industriali del settore e sempre più poveri i bieticoltori italiani, ridotti ormai a una riserva indiana.

Sulle quote latte, invece, nessuna presa di posizione. Un tabù, appunto. Per la Coldiretti, che non ha mai digerito il fenomeno dei cobas del latte, molti dei quali provenienti proprio dalle sue associazioni territoriali.
Per la Cia, che si è storicamente espressa per la sua abolizione. Timida, come spesso succede proprio di fronte ai tabù, la stessa Confagricoltura, condizionata forse anche dal “gemellaggio” con la Cia celebrato con la costituzione di Agrinsieme.
Una scatola di rappresentanza dove è più facile stilare comunicati sui principi dello stare insieme, più complicato affrontare i problemi concreti.

Il risultato di tutto ciò è stato il silenzio assordante. Tant’è, che in una nostra recente intervista pubblicata su AgroNotizie, il presidente della Commissione Agricoltura dell’Europarlamento, Paolo De Castro, aveva affermato: “Per quanto riguarda le quote latte, non esistono ad oggi le possibilità concrete di riaprire il negoziato sulla loro cessazione dopo la campagna 2015. Non ci sono infatti proposte sul tavolo in tal senso”.

Peccato! Il tabù della proroga delle quote latte è finalmente caduto, ma i buoi i buoi (anzi le vacche) sono già scappati.
E il rischio concreto è che le stalle chiuderanno ancora.