Professor Defez, lei da oltre vent'anni studia il rapporto tra alcuni batteri e le leguminose. Ce ne può parlare?
“Esistono dei batteri che vivono sulle radici delle leguminose e producono un ormone vegetale, l'Auxina. Questo ormone aiuta la pianta nel suo metabolismo cellulare perché consente una maggiore fissazione dell'azoto. Come effetto la pianta produce di più, sia come peso secco del fusto che come baccelli”.
Su quali aspetti si è concentrato il vostro studio?
“Noi abbiamo modificato geneticamente questi batteri perché producano più acido indolacetico, l'Auxina appunto, e quindi potenzino la crescita della pianta. Sono batteri che possono essere usati su qualunque leguminosa, dalla soia al fagiolo, dall'erba medica alle arachidi”.
Questi batteri sono disponibili in commercio oppure vivono solo in laboratorio?
“Non sono commerciabili perché non è mai stata fatta la sperimentazione in campo. La legislazione italiana vigente vieta infatti di utilizzare organismi geneticamente modificati al di fuori dei laboratori. Il paradosso è che in Paesi come l'Australia questi batterei non sono neppure considerati Ogm”.
Come mai?
“Perché nei nostri batteri abbiamo inserito geni di altri batteri con cui già normalmente in natura c'è uno scambio di geni”.
Esistono microrganismi simili ai vostri nel mondo?
“I nostri sono stati brevettati a nome del Cnr e sono unici. So però di batteri simili che sono stati venduti negli Stati Uniti ed erano stati studiati per le coltivazioni di erba medica”.
I vostri batteri ogm sono pericolosi per l'uomo e per l'ambiente?
“Sarebbe molto sorprendente se ci fosse qualunque effetto sanitario visto che i batteri, in natura, sintetizzano già l'Auxina. Noi facciamo solo aumentare il dosaggio”.
Se questi batteri fossero commercializzati in Italia, quali ripercussioni avrebbero sulla nostra agricoltura?
“Fare stime è difficile perché non sono state fatte le sperimentazioni in campo. In laboratorio quello che posso dire è che l'aumento del fusto e dei semi è del 30%. Inoltre qualche mese fa abbiamo brevettato dei nuovi batteri che aiutano le piante ad assimilare il fosfato presente nel terreno, normalmente non utilizzabile direttamente dai vegetali. Per l'agricoltore si tradurrebbe in minori costi di fertilizzazione”.
Perché è così importante la sperimentazione in campo?
“Perché nessuna azienda acquisterebbe un prodotto senza averlo testato nella realtà. I miei batteri potrebbero anche non funzionare in campo aperto. Il problema è che il loro valore in laboratorio è un centesimo rispetto a quello che avrebbero se fossero state fatte le dovute sperimentazioni”.
Il Mipaaf ha stanziato dei fondi per la ricerca e il miglioramento genetico. Ha messo però come paletti l'obbligo di utilizzare due tecniche: la cisgenesi e il genome editing. Con queste tecniche lei avrebbe potuto ottenere i suoi batteri?
“In linea di principio sì, ma quello che ho chiesto al ministero e a cui non ho ancora avuto risposta, è se poi questi batteri possono essere sperimentati in campo”.