- Tutti gli oggetti in plastica di uso quotidiano col passare del tempo si usurano e liberano pezzi piccolissimi di plastica.
- Le microplastiche si trovano nell'ambiente e possono essere assorbite dalle piante attraverso le radici e vengono traslocate nelle parti commestibili.
- Anche se non ci sono studi definitivi a riguardo si teme che le microplastiche possono influenzare negativamente la salute umana.
La frutta e la verdura prodotta dagli agricoltori italiani è ai vertici delle classifiche europee in termini di sicurezza alimentare, ad esempio per quanto riguarda i residui di agrofarmaci. In tema di sicurezza c'è però un aspetto ancora poco studiato e cioè la presenza di microplastiche all'interno dei prodotti coltivati.
Le microplastiche sono pezzetti minuscoli di plastica, inferiori al millimetro, che si disperdono nell'ambiente a causa della degradazione dei materiali plastici di uso comune. Facciamo qualche esempio: un vestito in fibre sintetiche lavato in lavatrice rilascia nell'acqua piccoli frammenti di plastica che superando i filtri dei depuratori finiscono nei corsi d'acqua superficiali. Guidando l'auto lasciamo sull'asfalto minuscole particelle di gomma che vengono poi dilavate dalle acque piovane. E in generale ogni oggetto in plastica di uso quotidiano, da un pettine alla cover dello smartphone, usurandosi rilascia microplastiche nell'ambiente.
La presenza di microplastiche non è dunque strettamente collegata all'abbandono di rifiuti, ad esempio in mare, ma è una conseguenza del modello produttivo moderno che fa ampio ricorso a questo materiale.
Le microplastiche in agricoltura
Posto che nell'ambiente le microplastiche sono presenti in abbondanza, diversi gruppi di ricerca hanno pensato di studiare la presenza di questi composti all'interno delle piante e soprattutto nelle parti eduli che poi vengono consumate sulle tavole degli italiani."Nei nostri laboratori abbiamo analizzato con una metodologia innovativa frutta e verdura comprata da produttori locali e al supermercato e abbiamo individuato in ogni prodotto la presenza più o meno elevata di microplastiche", spiega Margherita Ferrante, professoressa dell'Università di Catania che ha firmato, insieme ad un team internazionale, una ricerca proprio su questo tema.
"Si tratta di frammenti di plastica delle dimensioni che variano in un range di 1,51-2,52 micron (millesimi di millimetro, Ndr) che penetrano all'interno delle radici attraverso l'acqua e vengono poi traslocate verso le parti commestibili della pianta. Le massime concentrazioni di microplastiche sono state trovate nelle mele, per quanto riguarda i frutti, e nelle carote, per quanto riguarda gli ortaggi".
Le microplastiche hanno dimensioni davvero minuscole, assolutamente non visibili ad occhio umano, sono persino più piccole delle cellule di cui sono fatti i nostri corpi (pari a 10 micron). Per questo vengono trasportate facilmente attraverso il vento oppure la pioggia e finiscono sul terreno dei nostri campi. Lì si accumulano negli strati superficiali del suolo e vengono captate dalle radici delle piante.
Posto che la presenza delle microplastiche nelle derrate alimentari è stata dimostrata, c'è da chiedersi se questa sia pericolosa per la salute umana. "Ad oggi non ci sono studi che mettono in relazione le microplastiche con problemi alla salute umana", spiega Ferrante. "Sono invece stati condotti degli studi su piante cresciute in substrati ricchi di microplastiche e sono state osservate delle anomalie nello sviluppo degli esemplari".
La riduzione delle microplastiche è un tema molto sentito dall'opinione pubblica e anche la Commissione europea si è attivata per studiare il fenomeno e proporre delle soluzioni. C'è però da chiedersi una cosa: la plastica è un materiale con cui conviviamo da almeno settant'anni, da quando cioè è entrata massicciamente nella nostra società, senza che ci siano state evidenti ripercussioni sulla salute umana. Anzi, la plastica ha permesso grandi progressi, ad esempio elevando gli standard igienici della nostra vita quotidiana e preservando la salute dei consumatori. E' essenziale dunque che prima di intraprendere azioni per vietarne od ostacolarne l'uso si studino attentamente gli effetti sulla salute umana.