L'ultimo focolaio di influenza aviare, il sesto dopo l'emergenza iniziata il 14 agosto, è stato accertato il 5 settembre in un piccolo allevamento alle porte di Bondeno, in provincia di Ferrara. Da allora più nulla. Tanto che in assenza di altri casi le attuali misure di cautela saranno rimosse fra due settimane, a fine settembre. Con i complimenti di Bruxelles che ha lodato l'efficacia e la tempestività delle azioni intraprese dalle autorità sanitarie e in particolare dai Servizi Veterinari. Ricordiamo che subito dopo il primo caso, a Ostellato, sempre in provincia di Ferrara, l'azienda colpita è stata inserita all'interno di un'area di protezione, con una circonferenza di tre chilometri, all'interno della quale è di fatto impedita ogni movimentazione degli animali. Ma non basta. L'area di protezione è a sua volta racchiusa da un'area di sorveglianza, quest'ultima con un raggio di ben dieci chilometri, dove la movimentazione di animali può avvenire solo a particolari condizioni e in condizioni di assoluta sicurezza. E si può arrivare, come accaduto, all'abbattimento degli animali anche laddove il virus non è presente, tanto per eccedere in precauzione.
Uno stop incomprensibile
Insomma, polli e uova (come pure tacchini, anatre e altre specie avicole, vivi o meno che siano), non possono abbandonare le zone a rischio, mentre gli animali colpiti o solo sospettati di essere aggrediti dal virus dell'influenza sono soppressi e distrutti con mille attenzioni. Tanta, doverosa, cautela non basta però all'ansiosa Svizzera che in questi giorni ha deciso di chiudere le frontiere ai prodotti avicoli italiani provenienti dalle zone di protezione e di sorveglianza. In pratica ha deciso di vietare ciò che già l'Italia ha vietato, quasi non si fidassero dell'efficacia dei nostri controlli. Ma forse i motivi sono altri. Se davvero il timore fosse quello del virus, perché attendere un mese per decidere lo stop? In tutto il mondo le barriere sanitarie vengono alzate e abbassate non solo in funzione di virus e batteri, ma a volte per favorire od ostacolare all'occorrenza flussi commerciali. In questo caso c'è solo il rischio di disorientare (inutilmente) i consumatori, che potrebbero interpretare il divieto come un pericolo (inesistente) per la loro salute.