Uno degli argomenti principali dei comitati anti biogas è il problema dei cattivi odori.

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Si tratta di un argomento difficile da verificare in fase progettuale - che è il momento in cui solitamente si concentrano le proteste e si intensificano i dibattiti - perché le emissioni odorigene dipendono fondamentalmente da come viene gestito l'impianto e in subordine anche dalle condizioni meteo e dall'orografia del posto. Finché l'impianto non è costruito e funzionante, non è possibile verificare gli odori, e inoltre la percezione di questi può variare nel tempo. Poi c'è una componente soggettiva: anche nei casi di impianti ben costruiti e gestiti, c'è chi si lamenta comunque. Il fatto è che la soglia di percezione dell'odore varia da una persona all'altra e inoltre una singola persona può avere sensibilità diverse ai diversi odori.

 

Citando Lord Kelvin, uno dei padri della metrologia moderna: "Quando puoi misurare ciò di cui parli ed esprimerlo in numeri, allora ne sai qualcosa; quando non riesci ad esprimerlo in numeri, la tua conoscenza è scarsa e insoddisfacente; può essere l'inizio della conoscenza, ma nei tuoi pensieri sei appena avanzato allo stadio della scienza".

 

È possibile misurare qualcosa di soggettivo? La risposta è "sì, ma a certe condizioni". La norma europea di riferimento attualmente in vigore è la UNI EN 13725:2022 - Emissioni da sorgente fissa - Determinazione della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica e della portata di odore, la quale sostituisce la versione 2003. La norma definisce un metodo che permette di dare un valore numerico ad una sensazione. L'unità di misura dell'odore è l'unità odorimetrica europea (u.o.E o ouE a seconda dalle fonti). Fisicamente, una concentrazione di 1 u.o.E/m3 significa che il campione odorigeno, dopo essere stato diluito con aria pura in un rapporto di 1:1, risulta appena percettibile dal panel di valutatori addestrati all'identificazione di odori.

 

A titolo di esempio, i rifiuti umidi emettono 500-8mila u.o.E/m3, un allevamento di suini 500-2mila u.o.E/m3 e un ristorante mille-5mila u.o.E/m3 (Fonte: Geonose®). In altre parole, una misurazione di mille u.o.E in un determinato luogo sta a indicare che bisognerebbe diluire mille volte l'aria di quel luogo per rendere l'odore impercettibile per un valutatore esperto.

 

Ed è qua che entrano in gioco le condizioni di misurazione: nel caso di proteste per cattivi odori, si potrebbe sovrapporre una componente emozionale all'effettiva presenza dell'odore. Perciò, il metodo dell'olfattometria dinamica richiede l'intervento di un panel di almeno dieci persone non coinvolte nelle proteste, i cui nasi vanno adeguatamente "calibrati" con una sostanza di riferimento dall'odore caratteristico, l'n-butanolo. Per definizione, 1 u.o.E equivale ad una concentrazione di 123 microgrammi di vapore di n-butanolo in 1 m3 di aria inodore. Osservare che l'u.o.E non misura se un odore sia sgradevole o meno, solo l'intensità dello stesso.

 

È importante sottolineare che una norma tecnica non è una legge, pertanto non definisce alcun limite da rispettare ed è qua la radice del problema: durante il "boom" degli impianti di digestione fra il 2010 e il 2020 lo Stato non aveva definito in modo univoco quale fosse il limite ammissibile di u.o.E. All'epoca esisteva il D.Lgs. 152/2006 - Testo Unico Ambientale, il cui articolo 272 bis in materia di emissioni odorigene di impianti e attività è piuttosto generico e non stabilisce limiti concreti, rimandando alle singole regioni la potestà di regolamentazione in merito.

 

Nel 2010, l'articolo 272 bis è stato integrato con l'articolo 20 del D.Lgs 13 agosto 2010, n. 155 - Attuazione della Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa (10G0177), che non stabilisce nessun limite concreto ma si limita a istituire un coordinamento interministeriale per definire un regolamento. Ci sono voluti ben tredici anni fino alla pubblicazione del Decreto Direttoriale di approvazione degli indirizzi per l'applicazione dell'articolo 272-bis del D.Lgs 152/2006 in materia di emissioni odorigene di impianti e attività elaborato dal "Coordinamento Emissioni" il 28 giugno 2023. Il testo comprende cinque allegati che descrivono le diverse tecniche di rilevazione, quindi comprendono non solo l'intensità dell'odore ma anche la percezione della sgradevolezza e l'entità dell'emissione, intesa come portata di unità odorigene nell'unità di tempo.

 

L'Allegato 1 stabilisce i criteri per la modellizzazione della diffusione degli odori, dalla loro sorgente fino alle aree nelle quali essi sono percettibili.

Si definiscono varie tipologie di sorgenti odorigene:

  • sorgenti convogliate puntiformi: sorgenti fisse discrete che rilasciano in atmosfera un effluente attraverso condotti di dimensioni definite, con una portata volumetrica controllata o controllabile (in genere non ci sono negli impianti di biogas, Nda);
  • sorgenti areali attive: sorgenti areali di dimensioni definite, aventi un flusso di effluente controllato o controllabile (per esempio biofiltri aperti; vasche aerate di trattamento di reflui liquidi; cumuli aerati. In genere non ci sono negli impianti di biogas agricoli, potrebbero trovarsi negli impianti di digestione di Forsu e fanghi fognari, Nda);
  • sorgenti areali passive: sorgenti di dimensioni definite aventi un flusso di effluente non controllato o controllabile, per esempio discariche di rifiuti, cumuli di compost non aerati (è il caso dei cumuli di letame, pollina e digestato solido stoccati all'aperto, o delle trincee di insilato, sansa o altri sottoprodotti lasciate scoperte, Nda), vasche di reflui non aerate (è il caso tipico dei primi impianti costruiti, ma attualmente la tendenza è quella di dotare le vasche di accumulo digestato di chiusura ermetica e recupero del biogas residuale, Nda);
  • sorgenti volumetriche: edifici dai quali fuoriescono gli odori attraverso condotti a ventilazione naturale oppure tramite porte, portoni, finestre o altre aperture (è il caso tipico degli impianti di trattamento di Forsu, a prescindere dal fatto che siano di solo compostaggio o di digestione più compostaggio, Nda);
  • sorgenti fuggitive: sorgenti elusive o difficili da identificare che rilasciano quantità indefinite di odoranti, per esempio perdite da valvole e flange (malgrado CH4 e CO2 siano inodori, le emissioni fuggitive di biogas grezzo solitamente hanno un certo odore per le tracce di H2S e NH3, ai quali il naso umano è particolarmente sensibile, Nda), aperture di ventilazione passiva, eccetera.

 

L'Allegato 2 ha come scopo la definizione di modalità tecnico - operative opportune per l'esecuzione di campionamenti olfattometrici in campo.

Rimanda e in parte integra le seguenti norme:

  • UNI EN 13725, Qualità dell'aria - Determinazione della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica (nel seguito: UNI EN 13725).
  • UNI EN ISO 16911-1, Emissioni da sorgente fissa - Determinazione manuale ed automatica della velocità e della portata di flussi in condotti - Parte 1: Metodo di riferimento manuale.
  • UNI EN 15259 - Qualità dell'aria - Misurazione di emissioni da sorgente fissa. Requisiti delle sezioni e dei siti di misurazione e dell'obiettivo, del piano e del rapporto di misurazione.
  • Delibera n. 38/2018 del Consiglio Nazionale del Sistema Nazionale della Protezione dell'Ambiente - "Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene".
  • UNI 11806:2021, Qualità dell'aria - Emissioni odorigene e impatto olfattivo - Vocabolario.

 

L'Allegato 3 riguarda la metodologia per monitorare la percezione delle emissioni odorigene con tre metodi:

  • Utilizzo di questionari da compilare in giorni e ore stabilite da parte di un campione predeterminato di popolazione residente.
  • Monitoraggio in campo tramite un panel di esaminatori.
  • Monitoraggio sistematico del disturbo olfattivo tramite rilevazione delle segnalazioni di percezione di odore da parte della popolazione residente.
    Secondo i tecnici del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) è questa la strategia da preferire perché consente di perseguire gli scopi seguenti:
     • offrire percorsi definiti, trasparenti e condivisi per conseguire il contenimento del disturbo olfattivo, evitando l'esacerbarsi di contrasti e il radicarsi di contrapposizioni;
     • permettere di rilevare in modo quanto più possibile oggettivo il grado di disturbo olfattivo percepito e dimostrare la relazione causa-effetto fra una certa emissione in atmosfera e tale disturbo olfattivo, affinché siano garantiti sia il diritto del gestore dell'impianto ad esercire l'attività produttiva nel rispetto delle disposizioni cogenti, sia il diritto a salvaguardare la qualità dell'ambiente;
     • accrescere la fiducia della popolazione nella risoluzione del conflitto mediante un equilibrato confronto tra le parti, mediato dall'autorità.

 

L'Allegato 4 definisce un metodo alternativo, più veloce e obiettivo, basato su delle campagne di campionamento e analisi dell'aria mediante gascromatografia. Poiché ogni sostanza ha una sua concentrazione equivalente ad una u.o.E, conoscendo il profilo dei composti odorigeni nell'aria è possibile calcolare l'intensità dell'odore mediante una tabella. Il documento di riferimento per l'applicazione del metodo gascromatografico è la Delibera SNPA, Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, n. 38/2018 "Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene". Capitolo 4, sezione 4.2.

 

L'Allegato 5 definisce le possibilità e le limitazioni dei "nasi elettronici", strumenti che consentono di determinare e monitorare in continuo l'intensità dell'odore dopo un certo tempo di "addestramento". Il vantaggio dei nasi elettronici risiede nella capacità di monitorare in continuo e registrare le variazioni dell'intensità dell'odore. Per contro, il loro costo è elevato.