I dati dell'Ilo (International Labour Organization – Onu) dicono che la percentuale di lavoratori agricoli sul totale, nei paesi sviluppati ad alto reddito, è del 3%.
In Italia siamo al 4% come in Spagna, al 3% in Francia e all'1% in Germania. La disponibilità di lavoratori è divenuta nel nostro Paese un'emergenza già da qualche tempo, al pari di quasi tutti i paesi sviluppati: in pratica la forza lavoro non è mai sufficiente per coprire le necessità e nello stesso tempo i salari dei lavoratori sono legati alla scarsa remunerazione dei prodotti agricoli dovuta a squilibri lungo la filiera (leggi strapotere della Gdo).
La scarsa disponibilità di lavoratori implica poi il ricorso a manodopera proveniente dall'estero, il che ovunque provoca problemi: non bisogna solo pensare all'Italia ma anche agli Stati Uniti (dove spesso la situazione prende toni assolutamente drammatici), alla Francia e alla Spagna (dove i controlli delle autorità vengono fatti con gli elicotteri) fino alla decantatissima Germania, dove la Fair Agricolture Initiative ha denunciato frequenti violazioni dei diritti dei lavoratori.
In attesa dei robot raccoglitori (non è più una fantasia, basterà aspettare qualche anno) il problema della carenza di personale nel nostro paese rimane molto forte e presumibilmente non verrà risolto dal nuovo contratto occasionale per il lavoro agricolo a tempo determinato introdotto dalla Legge di Bilancio 2023.
Un contratto che tuttavia, a parere di chi scrive, rappresenta un passo in avanti e una iniziativa di buona volontà rispetto alla abolizione dei voucher. Il nuovo contratto occasionale per ora pare abbia scontentato tutti - sia i sindacati (sempre molo ideologici, ci pare) sia gli imprenditori agricoli.
Aspettiamo le indicazioni Inps per giudicare. Il problema da risolvere resta ora quello dell'impiego di lavoratori stranieri secondo criteri di trasparenza, eticità, praticità e convenienza. Un problema non facile: gli esempi da studiare in Europa sono però numerosi.