Il fotovoltaico che non piace
Cresce l'attenzione per l'ambiente e si punta a ridurre al minimo indispensabile l'impatto ambientale delle attività produttive. Così si cerca di sviluppare ogni forma di energia rinnovabile, e una fra le più diffuse è quella che vede l'utilizzo dei pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica.Il rovescio della medaglia è il possibile consumo di suolo agricolo che ne può derivare, al quale si aggiunge l'effetto, certo non positivo, sul paesaggio.
In Veneto il problema è particolarmente sentito e il quotidiano veronese "L'Arena" del 19 aprile, ricorda la battaglia che vede uniti agricoltori e cittadini nel contrastare alcuni progetti per l'installazione a terra di pannelli fotovoltaici.
Nel mirino delle contestazioni c'è il progetto che prevede nel Polesine la messa in opera di impianti su circa 50 ettari, terreni che verrebbero sottratti alle produzioni agricole.
Alcuni comuni sono già intervenuti su questa materia proibendo l'installazione a terra. Ora, conclude l'articolo, si attende l'approvazione di una norma regionale che vada in questa direzione.
L'articolo prende in esame la situazione del Veneto, ma il problema supera i confini di questa regione e richiederebbe che decisioni su questa materia siano prese a livello nazionale.
Sfide future
Evitare il consumo di terreno agricolo risponde poi all'esigenza di affrontare l'emergenza alimentare globale, come teme il segretario generale dell'Onu, António Guterres.E' questo il tema affrontato il 20 aprile sulle pagine di "QN" con la firma di Elena Comelli.
Già oggi 700 milioni di persone sono denutrite, numero che potrebbe crescere di altri 130 milioni di qui alla fine dell'anno a causa della pandemia da coronavirus.
Alla fine del secolo la sfida sarà quella di garantire la sicurezza alimentare a una popolazione di oltre 10 miliardi di persone, senza compromettere al contempo la "salute" del pianeta.
La filiera alimentare, alla quale è attribuito il 37% delle emissioni climalteranti globali, dovrà fare la sua parte nel ridurre il proprio impatto ambientale e in questa direzione un capitolo importante risiede nella riduzione degli sprechi.
L'articolo si conclude ricordando i dati della Fao, che denunciano come un terzo del cibo vada perso lungo la catena di produzione.
Sofferenze agricole
Sulle pagine che il "Corriere della Sera" dedica il 21 aprile alla provincia di Brescia è pubblicato un articolo, a firma Mariavittora Zaglio, che la dice lunga sulle difficoltà che il settore primario sta vivendo.Si parte ricordando che l'annata agraria bresciana del 2020 (ma nel resto d'Italia le cose non sono andate molto diversamente) ha perso in valore il 4%.
A soffrire maggiormente il settore florovivaistico, la produzione di latte e poi gli allevamenti di bovini e di suini. Qualche segnale positivo solo dalla viticoltura.
I dati, diffusi da Confagricoltura Brescia, parlano di una perdita del 50% per il florovivaismo.
Vicina al dieci% la flessione per le carni suine, mentre quelle avicole sono scese di oltre il 7%.
Assommano a circa il 2% le perdite registrate dal settore lattiero, che ha potuto contenere i danni solo grazie a un aumento della produzione.
Si cambia registro quando si esamina l'andamento delle orticole, che vantano un incremento in valore del 5%, e le produzioni vegetali, trainate dall'aumento dei prezzi di mais e soia.
Il comparto vitivinicolo, che nel bresciano annovera quattordici vini a denominazione di origine ed occupa una superficie di 6mila ettari a vite, ha superato quasi indenne la chiusura dei canali della ristorazione collettiva.
Merito della maggior quota di uve destinate alla produzione di vini di pregio, come Franciacorta e Lugana.
Meglio se è di precisione
Agricoltura di precisione, diffusione dei sistemi ad elevata tecnologia, macchine agricole evolute e applicazione dell'intelligenza artificiale.Sono gli ingredienti per dare all'agricoltura una marcia in più sul fronte della sostenibilità ambientale.
Gli agricoltori sono pronti a impegnarsi e a investire, magari facendo affidamento sulle risorse messe in campo per favorire questa evoluzione.
Peccato che a spegnere gli entusiasmi ci sia la burocrazia.
Lo ricorda Annamaria Capparelli sul "Quotidiano del Sud" del 22 aprile, dove cita gli ostacoli che si frappongono all'applicazione del credito di imposta previsto per gli iperammortamenti, estesi dall'industria all'agricoltura.
Si cita a questo proposito il caso di un agricoltore intenzionato ad acquistare trattrici e carro botte dotati di strumenti tecnologici all'avanguardia.
C'era la possibilità di accedere ai benefici fiscali previsti per questi investimenti, ma la procedura per ottenere queste agevolazioni si è dimostrata incomprensibile senza una laurea in ingegneria meccanica.
Non va meglio, continua l'articolo, con l'accesso ai Piani di sviluppo rurale, specie per le misure su investimenti e giovani.
In questo caso alla burocrazia nazionale si aggiunge quella europea, non meno complessa.
Il risultato è che solo la metà dei giovani è riuscita ad accedere ai contributi.
"La semplificazione - conclude Capparelli - resta un miraggio e così si rischia di mandare in fumo anche i migliori progetti del Recovery plan".
In difesa del "balsamico"
Il ministero dell'Agricoltura sloveno pare intenzionato a definire come balsamico l'aceto prodotto da succhi di frutta o mosti.La norma che è stata proposta è in contrasto con le leggi comunitarie che proteggono i prodotti alimentari dai tentativi di emulazione e in questo caso il prodotto imitato è il nostro aceto balsamico.
Su questo argomento, che già era balzato agli onori delle cronache nei giorni scorsi, è tornato "Il Domani" del 23 aprile, con un articolo a firma di Lucio Palmisano.
L'Italia ha già presentato alla Commissione europea il suo parere contrario alla legge del Governo di Lubiana, ma per una decisione definitiva occorre attendere il 3 giugno.
Nella nota con la quale l'Italia si oppone alla proposta della Slovenia, si evidenzia che porre in commercio un prodotto denominato aceto balsamico violerebbe il diritto comunitario in quanto indurrebbe in errore il consumatore.
Secondo il direttore del Consorzio di tutela dell'aceto balsamico, Federico Desimoni, dare ragione alla Slovenia comporterebbe danni enormi, in quanto salterebbe il sistema delle Dop e delle Igp che l'Unione sta cercando faticosamente di far valere in tutto il mondo.
I soldi della Pac
In questi giorni, e con un certo ritardo, si sono svolti i primi incontri per definire la gestione dei sostegni comunitari, che ammontano a circa 5 miliardi di euro, inseriti nella riforma della Politica agricola comunitaria che va dal 2023 al 2027.Ne dà notizia "Il Sole 24 Ore” del 24 aprile, con un articolo a firma di Alessio Romeo, che evidenzia come siano ancora da risolvere molte questioni che riguardano la stessa riforma della Pac.
Da definire, come ricorda l'articolo, ci sono ancora i nodi relativi al tetto da applicare alle grandi aziende, fissato a 100mila euro annui, con tagli progressivi.
Forti resistenze si registrano poi sul tema della sostenibilità sociale, con il vincolo della erogazione degli aiuti in funzione del rispetto delle regole sul lavoro.
Altra questione non risolta è quella della quota di aiuti diretti, da vincolare al rispetto delle misure ambientali.
Infine, conclude l'articolo, c'è da decidere sul tema della convergenza interna, termine con il quale si individua il riallineamento dell'importo per ettaro degli aiuti europei.
Il nodo manodopera
Come già era accaduto lo scorso anno, ecco ripresentarsi il problema della scarsità di manodopera per i lavori di raccolta.Ad aggravare la situazione c'è la prossima scadenza, alla fine di aprile, della proroga per i circa 30mila lavoratori stranieri già presenti nel Paese.
Fermo al palo anche il decreto Flussi, che potrebbe agevolare l'arrivo di circa 18mila operai agricoli.
A lanciare l'allarme è Carlo Ottaviano dalle pagine de "Il Messaggero" del 25 aprile.
Nel Metapontino, scrive Ottaviano, si registrano difficoltà per la raccolta delle fragole, mentre nelle Marche si attendono lavoratori per la tosa delle greggi di pecore.
In Puglia mancano all'appello circa 5mila stagionali, mentre in Emilia-Romagna il numero sale a 50mila addetti da impiegare nei frutteti.
Anche in Veneto si segnalano problemi per la carenza di manodopera soprattutto per le coltivazioni di tabacco.
Alcune organizzazioni professionali sono riuscite a favorire l'arrivo di lavoratori stranieri, che dovranno comunque rispettare i periodi di quarantena.
L'articolo prosegue ricordando gli ostacoli burocratici che impediscono ai percettori del reddito di cittadinanza e ai lavoratori in cassa integrazione la possibilità di essere impiegati nelle campagne.
Questa emergenza, si ricorda in conclusione, ha dimostrato come l'agricoltura offra molte opportunità di impiego che non sempre vengono colte.
Senza dimenticare tuttavia che anche in agricoltura la fisionomia del lavoro sta cambiando.
Occorrono infatti sempre più persone qualificate, motivo per il quale diviene strategico puntare su corsi per la formazione professionale.
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